Categoria: salute

Solo il 42% italiani si sposta a piedi o in bicicletta

Poco più di 4 italiani su 10 dai 18 ai 69 anni si reca a scuola o al lavoro a piedi, in bici o utilizzando altre strategie di mobilità attiva, e in molti casi con valori al di sotto della soglia che permetterebbe di ottenere i maggiori benefici che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità possono diminuire la mortalità e ridurre l’insorgenza di molte malattie croniche. È quanto indicano i dati della cosiddetta Sorveglianza Passi, condotta dal Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute (Cnapps) dell’Istituto superiore di sanità (Iss), diffusi in occasione della Settimana europea della mobilità (dal 16 al 23 settembre 2023).

Mobilità attiva: un trend in calo

“Complessivamente – riferisce l’Istituto – nel biennio 2021-2022 il 42% degli adulti intervistati pratica mobilità attiva e dichiara di aver usato la bicicletta o di essersi spostato a piedi per andare al lavoro, a scuola o per gli spostamenti quotidiani nel mese precedente l’intervista”. Ma il trend appare in calo, considerando che “dal 2017 al 2022 – continua l’Iss – si registra una lieve diminuzione della quota di persone che si muove a piedi o in bici per gli spostamenti abituali, e in particolare, una riduzione più forte tra coloro che riescono a raggiungere i livelli di attività fisica raccomandati, specialmente al Sud”.

I livelli di attività fisica raccomandati dall’Oms

“Il 19% degli intervistati – dettaglia ancora l’Iss – risulta fisicamente attivo con la sola pratica della mobilità attiva, perché grazie a questa raggiunge i livelli di attività fisica raccomandati dall’Oms, ovvero almeno 150 minuti a settimana di attività moderata, e il 23% risulta parzialmente attivo per mobilità attiva praticata, perché si sposta a piedi o in bicicletta, ma lo fa per meno di 150 minuti a settimana. La quota di persone che raggiunge i livelli di attività fisica raccomandati dall’Oms attraverso la mobilità attiva è maggiore tra i 18-24enni, ma anche fra i 50-69enni, fra le persone con alto livello di istruzione, fra gli stranieri e fra i residenti nelle regioni settentrionali, rispetto al resto del Paese, riporta Adnkronos.

Quattro suggerimenti per fare mobilità attiva

Se la distanza non è eccessiva il consiglio è di muoversi a piedi, considerando che i 150 minuti di attività fisica moderata alla settimana raccomandati dall’Oms corrispondono a un tragitto quotidiano di circa 2,5 km per 5 giorni. Se però ci si muove prevalentemente con i mezzi del trasporto pubblico, perché non riservare un tratto del percorso, almeno 1 km, da fare a piedi. E se si vuole utilizzare la bicicletta e la distanza è troppa, riporta il Sole 24 Ore, perché non considerare l’ipotesi di una ‘mobilità mista’, ad esempio combinando treno o metro con tragitti in bicicletta (molti mezzi infatti prevedono la possibilità di salire con biciclette, e-bike e bici pieghevoli). Ma se proprio non si può evitare di muoversi in automobile, parcheggiare a distanza dal luogo di arrivo e proseguire a piedi per almeno 1 km.

Una donna su 2 è vittima di molestie, discriminazioni e stereotipi 

Battutine allusive, apprezzamenti estetici pretestuosi, magari un massaggio dietro le spalle non richiesto, o peggio ancora, ricatti sessuali. Ma anche una promozione data a un altro collega, uomo, durante il periodo di gravidanza. È in questo modo che centinaia di donne hanno descritto la loro esperienza lavorativa all’interno della survey LEI (Lavoro, Equità, Inclusione), realizzata da Fondazione Libellula su oltre 4.300 lavoratrici e libere professioniste in tutta Italia, con l’obiettivo di fotografare lo stato dell’equità di genere del mondo del lavoro italiano. E i risultati restituiscono una situazione allarmante: più di una donna su 2 (55%) si dichiara vittima di una manifestazione diretta di molestia e discriminazione sul lavoro.

Limitare il proprio comportamento per paura che possa essere male interpretato

Come se non bastasse, questi dati aiutano a far capire quanto possa essere preoccupante il contesto lavorativo per le donne: il 22% ha dichiarato di aver avuto contatti fisici indesiderati e il 53% ha subito complimenti espliciti non graditi. Le conseguenze si riflettono in una limitazione del proprio comportamento per paura che possa essere male interpretato o portare a conseguenze negative. Infatti, il 58% delle donne intervistate non reagisce efficacemente di fronte a una molestia. Di queste, il 38% non vuole passare come una persona troppo aggressiva o ‘che se la prende’, mentre l’11% non sa come fare.

Rispetto a carriera e potere siamo ancora al secolo scorso

L’equità di genere nel mondo professionale è quindi ancora distante, anche quando le donne ricoprono una posizione manageriale. In questa situazione, infatti, i loro comportamenti decisi e determinati vengono visti in un modo diverso rispetto a quelli maschili. Tanto che a volte le donne rinunciano a mettersi in gioco per crescere professionalmente. Il 62% dichiara di essere considerata aggressiva se si mostra ambiziosa o assertiva, e tra queste il 42% ricopre un ruolo di responsabilità dirigenziale. Sempre rispetto a carriera e potere, siamo ancora al secolo scorso. Per gli uomini è più facile e veloce crescere e vedere riconosciuti i propri meriti, e ciò fa sì che in azienda la leadership diffusa sia prevalente al maschile.

Maternità e difficoltà a progredire nel percorso lavorativo

La carriera della donna è ancora troppo spesso interpretata alla luce di altri fattori rispetto al merito o alla competenza: il 71% sperimenta contesti in cui leadership e ruoli di responsabilità sono spesso ricoperti da uomini, e il 79% vede ‘crescere’ i colleghi uomini più velocemente, anche se con minore esperienza. La difficoltà a progredire nel percorso lavorativo peggiora in contesti in cui la genitorialità è percepita come condizione esclusivamente femminile. Le donne non sono serene a comunicare all’azienda di essere incinta (41%), il 68% ha visto rallentare il proprio percorso di crescita o quello di altre donne a causa della maternità, e il 65% ha sentito allusioni e commenti rispetto alle conseguenze negative della maternità in azienda.

Il Covid cambia il mondo del beauty e degli integratori 

Il periodo pandemico sta favorendo la crescita del mercato dei prodotti naturali e biologici, e dei prodotti destinati alla salute e al benessere in generale, specialmente per capelli, pelle e unghie, che si tratti di prodotti da applicare o integratori. Lo dimostra il sondaggio condotto da Free Thinking per AIDECO e SISTE dal titolo Claims di cosmetici e alimenti: bellezza, bio-naturalità, sostenibilità e… verità. Se ancora, come nel passato, si conoscono e si acquistano di più i prodotti che si applicano rispetto agli integratori (99% contro il 73%), oggi l’acquisto degli integratori, che rispetto ai cosmetici hanno un profilo più legato al mantenimento in salute, è aumentato significativamente, passando dal 66% del 2019 al 77% del 2021.

Si acquista per apparire in forma e prendersi cura del proprio corpo

Le motivazioni di acquisto più forti, trasversalmente a tutti i prodotti, sia di applicazione sia integratori, sono legate all’apparire in forma e prendersi cura del proprio corpo, dei capelli e delle unghie. Fanno eccezione i prodotti per il viso, per i quali la motivazione principale è prevenire l’invecchiamento (lo dichiara il 58% di chi acquista prodotti beauty e il 49% di chi acquista integratori), e i prodotti per l’igiene personale, che negli ultimi due anni hanno risposto all’esigenza di contenere il contagio da Coronavirus. Per la raccolta di informazioni di prodotto per il beauty e gli integratori accanto al web le figure di riferimento sono i farmacisti, mentre gli specialisti, i dermatologi e altre figure professionali in ambito medico, risentono di un accesso meno immediato dei pazienti.

Farmacie, parafarmacie ed erboristerie i tre canali principali

Coerentemente con questo dato, la vendita di prodotti per il beauty e gli integratori avviene in farmacia e in parafarmacia (rispettivamente al 47% e al 31% beauty e al 52% e 31% integratori), mentre le erboristerie rappresentano il terzo canale di vendita (27%). Il web, seppure in aumento, per il consumatore italiano non rappresenta ancora un canale di riferimento per questo tipo di prodotti (25%). Una tendenza dimostrata anche dal fatto che le dichiarazioni preferite a garanzia del risultato del prodotto sono “approvato da specialisti” e “dermatologicamente testato”, mentre “raccomandato da influencer” chiude la classifica delle dichiarazioni a cui affidarsi.

I claim più rilevanti: con ingredienti naturali 100% e senza derivati animali

Rispetto alle caratteristiche dei prodotti, i consumatori al momento dell’acquisto cercano la garanzia che i prodotti non siano dannosi. Ovvero, che abbiano certificazioni bio (77% beauty e 78% integratori), che siano naturali (77% beauty e 75% integratori) e senza alcuni particolari ingredienti (70% beauty e 75% integratori). Tra i claim oggetto della ricerca non emergono differenze significative tra le due categorie: “con ingredienti naturali 100%” e “senza derivati animali” appaiono i due claim più rilevanti (rispettivamente oltre il 50% il primo claim e vicino al 50% il secondo), mentre “impatto zero sull’ambiente”, “confezione riciclabile”, “certificato bio” e “a bassa emissione di CO2” si attestano intorno al 40% delle risposte degli intervistati.

Stress da lavoro. Il 25% dei lavoratori ne soffre

Lo stress dal lavoro è in aumento, e può portare a conseguenze molto gravi. Non è un caso se dopo decenni di studi l’OMS abbia deciso di riconoscere lo stress causato dal lavoro come una vera e propria sindrome, indicata come burn out.

I lavoratori italiani, già stressati nella “normalità” degli anni scorsi, nel 2020 non hanno certo ridotto la mole di ansia e di preoccupazioni. Anzi. Secondo lo studio The Workforce View 2020 – Volume Uno, realizzato da ADP, la multinazionale che realizza software per la gestione delle risorse umane, emergono dati poco incoraggianti. La ricerca è stata realizzata intervistando 32.500 lavoratori in tutto il mondo, dei quali 2.000 in Italia. E il 43% di loro afferma di vivere una situazione di stress almeno una volta alla settimana, mentre il 25% si sente stressato quotidianamente. Solo il 12% dichiara di non sentirsi mai stressato.

Dall’affaticamento all’esaurimento

Sono tante le conseguenze negative dello stress eccessivo. Se infatti esiste lo stress positivo, di breve durata e saltuario, che si traduce in una stimolazione fisiologica e mentale per migliorare le proprie performance, quello decisamente negativo porta a un alto livello di tensione per lunghi periodo di tempo. Gli effetti? Dall’affaticamento all’esaurimento. Lo stress eccessivo mina la salute dei lavoratori, il loro benessere, e di conseguenza anche il benessere delle aziende. Anche per questo, come spiega ADP, dovrebbero essere le aziende stesse ad alleviare l’onere nei confronti dei lavoratori maggiormente stressati.

Risolvere questo problema non è facile, e sarebbe meglio prevenirlo.

Le professioni più stressanti

“Esistono ruoli che per loro stessa natura sono maggiormente esposti ad alti livelli di stress – spiega Carola Adami, head hunter e Ceo della società di selezione del personale Adami & Associati -. Mi riferisco ad esempio a chi lavora abitualmente in modalità multitasking, a chi lavora a stretto contatto con il pubblico, nonché a chi lavora in settori dove il livello di incertezza è molto alto. Il manager d’azienda, l’organizzatore di eventi, l’avvocato, il barista, il medico, l’assicuratore – continua l’esperta – sono solamente alcuni dei lavori che si distinguono per l’alto livello di stress”.

Selezionare il candidato più adatto al ruolo da ricoprire

Nel momento in cui si ricerca un nuovo lavoratore per ricoprire uno di questi ruoli diventa quindi importante, per il bene dell’azienda e per il bene del candidato, capire se il potenziale candidato potrà o meno essere in grado di gestire lo stress.

“Durante i colloqui di selezione è importante capire come reagisce il candidato sotto stress. Per farlo – suggerisce Adami – esistono diverse tecniche, come per esempio presentare domande in modo incalzante, decidere a metà colloquio di passare all’inglese e così via”. In definitiva, per evitare lo stress in azienda è necessario agire su due fronti. Da una parte ridurre per quanto possibile le situazioni di stress eccessivo sul lavoro, dall’altra selezionare con cura il personale, in modo da assegnare a ognuno il ruolo più adatto.