Autore: Isabella Carrasco

L’economia rallenta, ma siamo il paese che dopo il Covid cresce di più in Europa

Turismo, manifattura, consumi delle famiglie, investimenti ed export hanno sostenuto la ripresa, la più ‘brillante’ tra i principali Paesi dell’Eurozona.
Tra il 2019 e il 2023 l’Italia ha segnato infatti una variazione del Pil del +3%, contro il +2,33% della Spagna, il +1,83% della Francia e il +0,73% della Germania. 

Un trend positivo che a ottobre 2023 ha spinto il tasso di occupazione a toccare il 61,83%, tanto che oggi in Italia si contano quasi 23,7 milioni di addetti, un record mai raggiunto in precedenza.
Lo afferma l’Ufficio studi della CGIA. Nonostante il rallentamento dell’economia in questo ultimo anno e mezzo l’Italia ha superato meglio dei suoi principali competitor europei gli effetti negativi provocati da crisi pandemica, caro energia e crescita esponenziale dei tassi di interesse.

L’Italia ha anestetizzato le crisi

Povertà, disoccupazione femminile, lavoro nero, tasse, burocrazia, evasione, inefficienza della PA e debito pubblico però continuano ad affliggere l’Italia e a frenare la crescita.

Nonostante le chiusure delle attività, i divieti alla mobilità e la contrazione dei consumi provocata dal Covid nel biennio 2020-2021, l’aumento dei costi delle bollette di luce e gas e l’impennata dei tassi di interesse determinata dalla Bce, le misure economiche/sociali messe in campo dagli ultimi esecutivi hanno sortito l’effetto sperato. Ovvero, hanno evitato una crisi sociale e garantito una ripresa dell’economia che nessuno prevedeva. O quasi. 

Aiuti per 270 miliardi di euro

Tra contributi a fondo perduto, ristori, indennizzi, misure di sostegno al reddito, crediti di imposta, tra il 2020 e il 2022 i governi hanno messo a disposizione di famiglie e imprese 180 miliardi di euro. Per mitigare il caro bollette, invece, sono stati erogati altri 90 miliardi di euro.
Complessivamente, quindi, sono stati stanziati oltre 270 miliardi, che hanno ‘anestetizzato’ gli effetti negativi provocati da pandemia e caro energia.

Certo, non sempre questi soldi sono stati spesi bene o sono finiti nelle tasche di chi ne aveva più bisogno.
Inoltre, l’incremento della spesa ha contribuito ad aumentare decisamente il nostro debito pubblico, che rimane tra i più alti al mondo.
Tuttavia, sono risorse erogate per non far collassare l’economia, e il risultato è stato raggiunto. 

Previsioni per il 2024: +0,7%

Tra i 20 paesi dell’Area dell’euro, quelli demograficamente più piccoli hanno registrato le crescite più elevate. Rispetto al periodo pre-Covid, infatti, l’Irlanda è cresciuta del 33,1%, Malta +14,4%, Cipro +14,2%, Croazia +13,4%, Lituania +8,3% e Slovenia +7,7%.
Di contro, i paesi più importanti hanno registrato variazioni nettamente inferiori, e se l’Italia ha segnato un +3% la media europea è stata del +3,5%.

Nel 2023 la previsione di crescita del nostro Paese dovrebbe essere del +0,7%, dato nettamente inferiore al +2,4% stimato per la Spagna e leggermente più contenuto rispetto al +1% in capo alla Francia. La Germania, invece, con una variazione del -0,3% rispetto al 2022 rimane in recessione.

Frodi creditizie: nei primi sei mesi 2023 danni per oltre 83 milioni di euro

Salgono a oltre 17.100 i casi di frode creditizia da furto d’identità nel I semestre 2023, +10,8% rispetto al medesimo periodo del 2022, e aumenta anche l’importo medio: 4.845 euro, (+3,1%).

Gli under 30 si confermano i più colpiti, le vittime sono principalmente in Lombardia, Campania e Sicilia, e la tipologia di prodotto maggiormente coinvolta continua a essere il prestito finalizzato (37,9%, +4,8%).
È quanto emerge dall’Osservatorio CRIF – Mister Credit sulle Frodi Creditizie in Italia, che stima un danno complessivo superiore a 83 milioni di euro (+14,2%).

Tipologia di finanziamento più colpite

Aumentano i casi di frode che interessano le carte di credito (+22,1%), circa il 12% del totale dei casi registrati nel periodo considerato. Si registra invece un calo considerevole per il credito revolving, oggi solo il 5,7% dei casi (-73%).
Inversione di tendenza per i prestiti personali, che registrano un notevole incremento (+61,2%), con una quota pari al 18,3% del totale dei casi stimati. Continua poi l’ascesa dei casi di frode sui mutui, che registrano un incremento del +17,7%.

Si evidenzia poi la crescita di una nuova tipologia di frode. Comparsa lo scorso anno, è relativa alla dilazione di pagamento per l’acquisto di beni o servizi. La quota di casi che riguardano questa nuova forma di credito, seppure ancora piccola rispetto al totale (2,8%), è più che triplicata rispetto al I semestre 2022.

Fasce di importo e categorie di beni

Più che raddoppiati i casi di frode creditizia con un importo tra 3.001 e 5.000 euro (+112,4%, 10% del totale), in aumento le frodi con importi tra 10.001 e 20.000 euro, e in calo i casi di importi inferiore a 3.000 euro (-22,1%).
L’acquisto di elettrodomestici resta la tipologia di frode maggiormente diffusa (34,6%, -36,1%), seguita da auto-moto (16,5%, +34%), consumi/abbigliamento/lusso (9,4%), elettronica/informatica/telefonia (8%). Seguono, le spese per immobili/ristrutturazione (7,9%), arredamento (7,8%), e salute (6%).

In forte aumento (7,7%) le frodi finanziarie/assicurative, fenomeno riconducibile all’utilizzo sempre più frequente della rateizzazione delle polizze.
Per quanto riguarda la tipologia di bene in rapporto all’erogato, le categorie a maggiore incidenza sono viaggi/intrattenimento, costumi/abbigliamento/lusso, finanziarie/assicurazioni ed elettrodomestici.

I documenti utilizzati per le frodi e i tempi di scoperta

Nello 0,08% dei casi risulta utilizzato un codice fiscale apparentemente regolare ma inesistente, quindi mai rilasciato dall’Agenzia delle Entrate: con ciò si potrebbe ipotizzare un tentativo di frode con identità inesistente.
Viene poi confermato l’utilizzo preponderante della carta di identità come documento identificativo (83,1% del totale, +1,3%). A seguire, patente (15,1%), e passaporto (1,3%).

L’1,46% dei documenti presentati in fase di identificazione anagrafica è una carta di identità contraffatta, oppure valida ma non riconducibile al soggetto, mentre per le patenti questo dato arriva al 2,93%.
I tempi di scoperta delle frodi sono poi sempre più polarizzati: entro 12 mesi (+24,8%) o dopo 3, 4, 5 anni (+33,7%). Ma l’incremento maggiore è tra 2 e 3 anni (+49,2%).

Black Friday 2023: non basta a risollevare il mercato Tech

Negli ultimi anni le promozioni si sono moltiplicate e la settimana del Black Friday, pur mantenendo la centralità nel fatturato delle categorie Tech, non è più un appuntamento unico per i consumatori che vogliono fare buoni affari.
Di fatto, nella settimana del Black Friday 2023 le rilevazioni effettuate da GfK sul Panel Weekly per le categorie più importanti del mercato della Tecnologia di Consumo mostrano un calo del fatturato.

Per TV, PC, Smartphone, Tablet, Wearable, Frigoriferi, Lavatrici, Aspirapolvere, Stampanti, e altri prodotti tech dal 20 al 26 novembre 2023 è stato generato un controvalore pari a 438 milioni di euro. In calo del -11% rispetto al Black Friday 2022.
La settimana del Black Friday rimane comunque la più importante del 2023 per giro d’affari. Rispetto al fatturato della settimana media riferita all’ultimo anno, l’incremento è del +117%. E il confronto è positivo anche rispetto alla settimana precedente. In questo caso la crescita è del +47% a valore.

La domanda rallenta (non solo) per effetto saturazione

In linea con il resto dell’anno, anche la settimana del Black Friday ha fatto registrare un trend negativo rispetto allo stesso periodo del 2022.
Ma anche le settimane precedenti al Black Friday sono state negative, e il mese di novembre, solitamente molto importante per il settore, non sembra essere stato in grado di risollevarne le sorti.

Dopo la crescita record degli anni della pandemia, e un 2022 leggermente negativo (-2,3%), dall’inizio del 2023 il settore della Tecnologia di Consumo sta vivendo un rallentamento della domanda.
Le ragioni sono da ricercarsi nell’effetto saturazione registrato da alcuni settori cresciuti molto negli scorsi anni, e nelle preoccupazioni dei consumatori legate al carovita e alle crisi internazionali.

Performance negative per tutti (i comparti)

Il trend negativo ha riguardato sia i punti vendita tradizionali (-12%) sia il canale online (-10%), anche se durante la settimana del Black Friday, le vendite tramite internet hanno contribuito al 38% del fatturato totale.

Tutti i comparti registrano performance negative rispetto al Black Friday 2022, ma quelli che hanno sofferto meno sono stati l’Home Comfort (-2%), il Grande Elettrodomestico (-3%), il Piccolo Elettrodomestico (-4%) e il Telecom (-4%). La decrescita più notevole è stata invece quella dell’IT&Office (-21%) e dell’Elettronica di Consumo (-25%).

Cala anche l’impatto delle attività promozionali

Guardando alle tre categorie più importanti in termini di fatturato, in leggero calo gli Smartphone (-2%), mentre registrano trend decisamente negativi rispetto allo scorso anno i PC Portatili (-24%) e le TV (-26%).
Gli unici prodotti che segnano una crescita rispetto al Black Friday 2022 sono le Lavastoviglie (+12%) e le Stampanti Multifunzione (+3%).

L’impatto delle attività promozionali nella settimana del Black Friday è calato rispetto agli ultimi anni, e si assesta al 38% dei volumi venduti con una riduzione di prezzo di almeno il 10%. I Mediatablets sono stati il prodotto con la percentuale più alta di vendite promozionali (54%).

Comfort food: gli italiani eleggono pizze e focacce “cibi consolatori” d’eccellenza

Lo ha scoperto una ricerca condotta da Bva Doxa per il food delivery Just Eat:  per il 60% degli italiani sono pizza e focacce i comfort food preferiti. Ma tra i cibi consolatori spiccano anche i dolci (40%), i gelati (38%) e l’immancabile cioccolato, cibo consolatorio per eccellenza, ma citato ‘solo’ dal 32% degli intervistati.

Ma cos’è per gli italiani il comfort food? Di fatto, il concetto di cibo consolatorio per il 40% dei nostri connazionali è legato a piatti familiari, e per il 38% a quelli che possono migliorare il nostro stato d’animo.
Quanto alle emozioni più comuni che si provano dopo aver gustato il proprio cibo preferito, sono soprattutto una sensazione di gratificazione (44%) e felicità (41%).

L’80% assaggerebbe volentieri un alimento “progettato” per migliorare l’umore

L’indagine mette in risalto in particolare come l’atto di ordinare cibo a domicilio sia spesso associato a emozioni positive, come soddisfazione e relax.

In particolare, lo studio ha rilevato come oltre il 90% degli italiani affermi di ordinare un piatto basandosi su emozioni o ricordi positivi.
Inoltre, l’80% degli italiani si dice interessato a provare un alimento ‘progettato’ per migliorare l’umore.

L’ispirazione per nuove ricette arriva dai social, e il ristorante deve essere sostenibile 

Non è tutto. I risultati dello studio segnalano poi che il 70% degli italiani dichiari di aver provato almeno una volta a replicare ricette o piatti che hanno visto realizzare da influencer o personaggi famosi sui canali social, mentre il 50% ‘segue’ almeno un ristorante sui social network.

Tra i dati emerge però anche l’importanza da parte degli italiani della provenienza delle materie prime utilizzate nei ristoranti, nonché l’uso di prodotti locali e a chilometro zero (44%), e l’adozione di iniziative anti-spreco (42%).
Sono questi gli elementi chiave per definire un ristorante come sostenibile.

I giovani della Gen Z vogliono sperimentare sapori nuovi e intensi… ma familiari

Più nel dettaglio, il 65% degli intervistati si dice disposto a pagare di più per una consegna più sostenibile, specialmente tra i membri della Generazione Z. Ma in Italia la ricerca ha rilevato anche ‘un forte interesse’ per la sperimentazione di sapori nuovi e intensi (22%), ancora una volta, soprattutto tra i giovani (25-34 anni). Sperimentazione che resta però spesso associata a un forte legame con i piatti familiari (36%).

L’indagine Bva Doxa / Just Eat, riporta Ansa, è relativa alla settima edizione della Mappa del cibo a domicilio in Italia, ed è finalizzata a scoprire quali sono i nuovi driver che plasmeranno il mondo gastronomico e del food delivery. Alla ricerca ha collaborato anche Wgsn, l’istituto di ricerca sulle tendenze dei consumi.

Natale: cercasi oltre 4.000 profili da inserire…“sotto l’albero”

Sono oltre 4.000 i profili ricercati da Gi Group, prima agenzia italiana per il lavoro, da inserire in diversi ambiti durante il periodo natalizio. Si tratta di opportunità che riguardano molto settori, dalla logistica alla grande distribuzione organizzata, da retail, horeca e fast moving consumer goods all’ambito customer care.

Le posizioni si rivolgono a un ventaglio molto ampio di candidati e candidate: giovani che stanno muovendo i primi passi nel mondo del lavoro, universitari che vogliono sfruttare il periodo di pausa dalle lezioni per fare esperienza, ma anche lavoratori con esperienza alla ricerca di nuove opportunità.

Logistica: tante proposte anche per chi non ha esperienza

Per il settore logistica, ad esempio, sono 2.300 gli inserimenti previsti per i ruoli di magazziniere, carrellista, pickerista, autista, preparatore merce e impiegato di magazzino.
Le proposte si rivolgono sia a profili senza esperienza pregressa sia a figure esperte. Si richiede disponibilità part-time, full-time e nei weekend.

Per la grande distribuzione organizzata sono invece più di 600 le posizioni aperte, come scaffalista, addetto/a ai banchi specializzati (gastronomia, macelleria, pescheria e forno) e cassiere. Ci si rivolge sia a coloro che non hanno esperienza o a chi ha un percorso professionale già avviato. È richiesta disponibilità part-time, full-time e nei weekend.

Retail: cercasi 600 profili

Ulteriori opportunità arrivano anche dal settore retail, per il quale Gi Group sta cercando 600 profili come addetto vendita e allestimento, e dal settore horeca con 350 profili da inserire come addetto alla ristorazione, cameriere, barista, cuoco, commis di cucina e pizzaiolo.

Per gli inserimenti in ambito horeca è gradita l’esperienza nel settore e la disponibilità a lavorare anche nei giorni festivi e nel fine settimana. Nel mondo fast moving consumer goods sono invece 200 le posizioni aperte come operaio alimentare, tutte rivolte a profili con esperienza pregressa in contesti produttivi o di magazzino, e si richiede disponibilità a lavorare su turni anche notturni.

Le offerte interessano tutto il territorio nazionale

Si registra poi un elevato livello di richieste per il settore customer care, con 400 figure richieste da inserire come addetto customer service inbound e outbound.
Le posizioni disponibili sono rivolte a candidati con esperienza pregressa, persone in cerca di nuove opportunità così che intendono entrare per la prima volta nel mondo del lavoro. Si richiede l’utilizzo di sistemi informatici e la disponibilità part-time e su turni.

Le offerte interessano tutto il territorio nazionale. Per il settore Logistica, in particolare, Lombardia, Piemonte, provincia di Piacenza e di Chieti.
Per il settore Fmcg la ricerca si svolge principalmente in Veneto e Piemonte., mentre il customer care concentra la domanda in Lombardia, Piemonte, Campania, Lazio, Puglia, Calabria, Sardegna, Liguria ed Emilia-Romagna.

Gestione della casa e dei figli: mamma e papà sono davvero alla pari?

In base a quanto dichiarato dai papà,  non ci sono più differenze di genere nella gestione della casa e dei figli. Ma le mamme italiane non sembrano essere d’accordo. Secondo il loro giudizio, il contributo maschile non supera il 30%.
Questa discrepanza emerge dalla nuova edizione dell’osservatorio “Parents” di Eumetra, che ha coinvolto oltre 2.100 genitori in attesa del primo figlio e con figli di età compresa tra 0 e 11 anni. 

La mamma è ancora la mamma…

I dati indicano che ancora oggi, il 70% delle mamme si occupa esclusivamente o principalmente delle faccende domestiche e dei figli, un dato addirittura in crescita rispetto al 2018, quando era al 66%.

Matteo Lucchi, amministratore delegato di Eumetra, commenta questa situazione dicendo che nonostante i padri siano sempre più desiderosi di essere coinvolti nella vita familiare, ci sono ancora differenze molto nette nella suddivisione dei compiti, in alcuni casi addirittura aumentate negli anni. Ad esempio, se nel 2018 le decisioni importanti per i figli erano prese dalla madre nel 28% dei casi, oggi questa percentuale è salita al 46%. La parità all’interno delle mura domestiche appare molto lontana, e il coinvolgimento dei padri nella gestione della casa e nella cura dei figli non sembra ancora sufficiente a alleviare il peso del “carico mentale” che grava sulle spalle delle mamme.

Divergenze fra lei e lui anche nelle scelte d’acquisto

Le divergenze tra mamme e papà si fanno sentire anche nella maggior parte delle scelte d’acquisto, ad eccezione delle vacanze e del tempo libero, dove le decisioni sono condivise nel 75% delle famiglie. Nelle altre categorie, le mamme si sentono le principali responsabili degli acquisti, come prodotti per l’allattamento/svezzamento (59%), alimentazione (55%), igiene e cura (63%), farmaci e salute (52%), puericultura leggera (ciucci e biberon, 60%), materiale scolastico (56%) e abbigliamento (55%).

Lucchi aggiunge che anche in questo caso, i padri dichiarano di condividere le scelte, ma il desiderio di protagonismo nella vita quotidiana dei figli non sempre si traduce in realtà. La condivisione delle scelte di acquisto è più equa per passeggini e seggiolini, giochi e giocattoli, prodotti tecnologici e finanziari.

Preoccupazione per il futuro? Sì, senza grandi differenze

La preoccupazione per il futuro è elevata, con l’82% delle famiglie che si dichiara molto o abbastanza preoccupata, soprattutto in relazione alla situazione economica. Le mamme mostrano una maggiore preoccupazione rispetto ai padri, anche se in miglioramento rispetto al 90% registrato un anno fa. I timori principali riguardano l’incremento dei prezzi e il cambiamento climatico.
I genitori con figli di età compresa tra 7 e 11 anni sono i più preoccupati per l’aumento dei prezzi, mentre cresce anche il timore di perdere il proprio posto di lavoro, con un aumento di 7-8 punti percentuali rispetto al 2022, sia tra le mamme sia tra i padri.

Intelligenza Artificiale: Italia in testa per progetti realizzati nelle PA europee 

Se a livello globale l’interesse per le applicazioni dell’Intelligenza artificiale nella Pubblica Amministrazione è trainato dagli USA, che negli ultimi 5 anni ha investito oltre 60 miliardi di dollari, l’Italia, con 1 miliardo di euro, sembra adottare un approccio più conservativo, allocando meno risorse pubbliche suddivise in un più ampio numero di iniziative.

Con 63 progetti, l’Italia poi emerge tra i Paesi europei più impegnati nello sviluppo delle soluzioni di AI nella PA, e conquista il primato per numero di progetti implementati (38), circa il 10% del portafoglio europeo.
Di fatto, dal 2010 al 2021 i progetti di AI nelle PA europee sono passati da 26 a 148 all’anno, per un totale di 637 progetti mappati. Il 30% ha l’obiettivo di migliorare i servizi rivolti a cittadini e imprese.
Sono alcuni risultati del report Le opzioni tecnologiche per la digitalizzazione avanzata della Pubblica Amministrazione, realizzato da The European House – Ambrosetti e Salesforce.

Diffondere le tecnologie e formare

Considerando che l’Italia oggi si pone al 20° posto in UE per incidenza dei servizi pubblici digitali erogati ai cittadini, emerge la necessità di spingere sulla diffusione di tecnologie digitali nella PA, in particolare, architetture Cloud, e piattaforme pubbliche di Open Data, per condividere l’enorme patrimonio informativo disponibile con altre PA, cittadini e imprese.

Ma per implementare la AI nella PA è necessario investire sulla formazione digitale. Per raggiungere il target europeo (80% della popolazione con competenze digitali di base entro il 2030) all’Italia mancano 15,3 milioni di cittadini.
È quindi urgente intervenire con un piano di alfabetizzazione digitale dei cittadini: tutti gli stakeholder sono chiamati a fare la propria parte.

L’importanza del PNRR

Allo stesso tempo, bisogna favorire lo sviluppo delle competenze digitali avanzate. In Italia sono ‘solo’ 42.000 i laureati in discipline ICT.

Il report ribadisce anche l’urgenza di attuare prima possibile le iniziative sulla digitalizzazione presenti nel PNRR. Sono infatti previsti circa 6,1 miliardi di euro per digitalizzare la PA, oltre 3 volte quelle dell’attuale spesa ICT della PA relativa alla digitalizzazione. Ovvero, circa 1,8 miliardi di euro relativi alle attività di sviluppo software.

I principi guida per adottare l’AI nella PA

Il report individua 5 principi guida per un approccio responsabile all’adozione dell’AI. Il primo è la trasparenza degli algoritmi e la spiegabilità dei risultati prodotti. Il secondo riguarda la responsabilità nell’ambito del processo decisionale: è infatti opportuno che le decisioni finali spettino a un essere umano.
Il terzo riguarda i dati utilizzati dall’AI, che dovrebbero essere di elevata qualità per garantire decisioni accurate, cruciali ed etiche.

Il quarto è relativo all’interoperabilità e condivisione dei dati tra le Amministrazioni per adoperare standard comuni e diffondere gli Open Data nel settore pubblico. E il quinto suggerisce di adottare l’approccio Privacy by design per incorporare la protezione della privacy e della sicurezza dei dati in tutte le fasi del processo. 

Qual è l’impatto dell’e-commerce sui negozi di vicinato?

La crescita dell’e-commerce, che attualmente rappresenta il 12% del mercato, non è strettamente correlata alla perdita di posti di lavoro nel settore tradizionale. Anzi, l’e-commerce ha spinto i negozi tradizionali a reinventarsi. È quanto emerge dallo studio della Fondazione De Gasperi, realizzato in collaborazione con Amazon e presentato a Roma.

Il rinnovamento dei punti vendita tradizionali 

Secondo il 71% dei consumatori, i negozi di vicinato che hanno adottato l’e-commerce hanno migliorato i loro servizi grazie alla vendita online. Inoltre, il 60% dei clienti apprezza la possibilità di utilizzare i negozi locali come punti di consegna. Il cambiamento principale è che ora sono le merci a raggiungere gli individui anziché il contrario.

Multicanalità: un nuovo modo di operare

Le aziende stanno adottando una strategia di multicanalità, combinando canali fisici e digitali. Nonostante l’e-commerce stia crescendo, non sembra esserci un legame diretto tra questa crescita e la perdita di posti di lavoro nelle attività tradizionali.

Le dinamiche occupazionali mostrano un trend positivo negli ultimi 10 anni, nonostante la diffusione dell’e-commerce. Il settore commerciale ha continuato a crescere, e l’e-commerce stesso può rappresentare un’opportunità.

L’e-commerce come opportunità

L’e-commerce permette di ottimizzare i processi distributivi e ridurre gli spostamenti a vuoto, migliorando la sostenibilità ambientale del settore commerciale.

L’e-commerce può essere un trampolino di lancio per le piccole imprese italiane. Può aprire nuovi mercati e favorire l’export dei prodotti italiani all’estero.

Rafforzare le competenze e la tecnologia

È fondamentale rafforzare le competenze e la tecnologia delle attività commerciali, favorendo l’integrazione tra mezzi digitali e tradizionali per contrastare la desertificazione commerciale.

Le associazioni di categoria devono supportare attivamente i propri membri nella trasformazione digitale, sfruttando gli strumenti tecnologici per creare un servizio personalizzato e di qualità.

Le sfide dell’acquirente 3.0

L’evoluzione nel commercio è inevitabile, e gli attori pubblici e privati devono unire le forze per fronteggiare le sfide, sostenendo lo sviluppo delle piccole e medie imprese.

In conclusione, l’e-commerce sta cambiando il panorama commerciale italiano, ma offre anche nuove opportunità per le imprese e i negozi tradizionali che sanno adattarsi a questa evoluzione. La chiave è la trasformazione digitale e l’integrazione tra canali fisici e digitali.

Italiani “stufi” del loro lavoro. E senza piano B

Italiani e mondo del lavoro sono più che mai distanti.  Secondo un recente studio condotto dall’Unicusano, nell’ultimo anno nove italiani su dieci hanno manifestato una profonda insoddisfazione per il loro lavoro, e il 43% di loro ha scelto di abbandonarlo. Sorprendentemente, il 97% di chi ha fatto questa scelta non aveva un “piano B” in mente. Le donne e i giovani sotto i 27 anni sono stati particolarmente colpiti da questa tendenza, con il 77% di loro che ha deciso di rinunciare a un contratto di lavoro e a una carriera professionale in cambio di maggiore libertà personale.

Cala anche il benessere psicologico 

Un altro dato preoccupante emerso dallo studio dell’Unicusano riguarda il benessere psicologico dei lavoratori. Solo l’11% dei 25 milioni di occupati registrati dall’Istat nel 2022 è riuscito a raggiungere un equilibrio ideale tra lavoro e salute mentale. Questo equivale a meno di tre milioni di persone.
Il principale fattore che ha influenzato negativamente i lavoratori, costringendoli ad assentarsi ripetutamente, è stato il burnout, uno stato di esaurimento fisico, mentale ed emotivo causato da vari fattori legati al lavoro. Questo malessere ha colpito quasi il 50% degli italiani.

Il fenomeno delle Grandi Dimissioni arriva in Italia…

Il fenomeno noto come “Great Resignation,” già osservato in America dopo la fine della pandemia, ha fatto il suo ingresso anche in Italia. L’Unicusano ha identificato diverse motivazioni alla base di questa scelta, dall’insoddisfazione personale alla ricerca di migliori condizioni economiche, dalla necessità di maggiore flessibilità nell’orario di lavoro alla rottura dei rapporti con i colleghi. Gli italiani cercano un nuovo equilibrio tra vita privata e professionale, che attualmente è sbilanciato verso quest’ultima a causa di una società iper-competitiva, veloce e digitalizzata.Altri fenomeni preoccupanti emersi nello studio dell’Unicusano includono il “quiet quitting,” in cui oltre due milioni di lavoratori svolgono solo il minimo indispensabile senza sentirsi valorizzati, e il “job creeper,” che colpisce il 6% delle persone che fondono completamente la sfera lavorativa e quella privata.

…E anche il Nomadismo Digitale

Ad alimentare il fenomeno delle “Grandi Dimissioni” sono soprattutto i giovani tra i 24 e i 35 anni, noti come “flow generation.” Questi giovani hanno un futuro incerto, lavorano in professioni non tradizionali e hanno un’identità in continua evoluzione. Hanno trovato nel nomadismo digitale la loro forma di espressione più pura, e oggi rappresentano 35 milioni di persone in tutto il mondo, con un valore economico di 787 miliardi di dollari. La pandemia ha tolto tempo, ma ha anche regalato tempo. I nuovi nomadi digitali sanno come valorizzare questo tempo, rivendicando spazio per la loro vita, passioni, talenti e aspirazioni. Lavorano da remoto, da qualsiasi parte del mondo, e lo fanno con soddisfazione nell’85% dei casi. Sono la risposta a una precarietà auto-imposta, e le aziende devono riconoscere questa sfida per consentire a tutti di crescere, mettendo al centro le persone.

Solo il 42% italiani si sposta a piedi o in bicicletta

Poco più di 4 italiani su 10 dai 18 ai 69 anni si reca a scuola o al lavoro a piedi, in bici o utilizzando altre strategie di mobilità attiva, e in molti casi con valori al di sotto della soglia che permetterebbe di ottenere i maggiori benefici che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità possono diminuire la mortalità e ridurre l’insorgenza di molte malattie croniche. È quanto indicano i dati della cosiddetta Sorveglianza Passi, condotta dal Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute (Cnapps) dell’Istituto superiore di sanità (Iss), diffusi in occasione della Settimana europea della mobilità (dal 16 al 23 settembre 2023).

Mobilità attiva: un trend in calo

“Complessivamente – riferisce l’Istituto – nel biennio 2021-2022 il 42% degli adulti intervistati pratica mobilità attiva e dichiara di aver usato la bicicletta o di essersi spostato a piedi per andare al lavoro, a scuola o per gli spostamenti quotidiani nel mese precedente l’intervista”. Ma il trend appare in calo, considerando che “dal 2017 al 2022 – continua l’Iss – si registra una lieve diminuzione della quota di persone che si muove a piedi o in bici per gli spostamenti abituali, e in particolare, una riduzione più forte tra coloro che riescono a raggiungere i livelli di attività fisica raccomandati, specialmente al Sud”.

I livelli di attività fisica raccomandati dall’Oms

“Il 19% degli intervistati – dettaglia ancora l’Iss – risulta fisicamente attivo con la sola pratica della mobilità attiva, perché grazie a questa raggiunge i livelli di attività fisica raccomandati dall’Oms, ovvero almeno 150 minuti a settimana di attività moderata, e il 23% risulta parzialmente attivo per mobilità attiva praticata, perché si sposta a piedi o in bicicletta, ma lo fa per meno di 150 minuti a settimana. La quota di persone che raggiunge i livelli di attività fisica raccomandati dall’Oms attraverso la mobilità attiva è maggiore tra i 18-24enni, ma anche fra i 50-69enni, fra le persone con alto livello di istruzione, fra gli stranieri e fra i residenti nelle regioni settentrionali, rispetto al resto del Paese, riporta Adnkronos.

Quattro suggerimenti per fare mobilità attiva

Se la distanza non è eccessiva il consiglio è di muoversi a piedi, considerando che i 150 minuti di attività fisica moderata alla settimana raccomandati dall’Oms corrispondono a un tragitto quotidiano di circa 2,5 km per 5 giorni. Se però ci si muove prevalentemente con i mezzi del trasporto pubblico, perché non riservare un tratto del percorso, almeno 1 km, da fare a piedi. E se si vuole utilizzare la bicicletta e la distanza è troppa, riporta il Sole 24 Ore, perché non considerare l’ipotesi di una ‘mobilità mista’, ad esempio combinando treno o metro con tragitti in bicicletta (molti mezzi infatti prevedono la possibilità di salire con biciclette, e-bike e bici pieghevoli). Ma se proprio non si può evitare di muoversi in automobile, parcheggiare a distanza dal luogo di arrivo e proseguire a piedi per almeno 1 km.