Categoria: Curiosità

Lavoratori vittime del “job creep”: cos’è questo fenomeno?

Lavoratori sempre più colpiti da “job creep”. Ma cosa significa questo termine, che tradotto letteralmente significa “lavoro strisciante”? Vuol dire assumersi sempre più compiti extra rispetto le proprie mansioni, soprattutto su base volontaria. Farsi carico di lavoro e ore aggiuntivi anche se questo approccio non corrisponde a promozione o ricompensa, se non in minima parte. Paradossalmente è stata proprio la pandemia, con tutto ciò che ha comportato, a riportare indietro il lavoro: l’emergenza sanitaria e lo smart working hanno dato una tale spinta a metodi alternativi e a strumenti di produttività che si è ampliato il tempo dedicato alla professione. Dalle piattaforme e dai software che consentono di inviare messaggi ai membri del team di lavoro e allo stato di avanzamento del progetto in qualsiasi momento, all’utilizzo di chat e videochiamate interne, dipendenti e collaboratori si sono dovuti rendere disponibili non solo per le canoniche otto ore di ufficio, ma per molto più tempo. Insomma, con il fatto di allontanarsi dal tradizionale posto di lavoro per lavorare da casa, vengono spesso superati gli orari e i ruoli previsti dal contratto.

Di tutto e di più

Questo approccio, che fa sì che ci si voglia mostrare e dimostrare sempre più disponibili e proattivi, ha ovviamente delle controindicazioni anche sul piano psicologico. Il lavoro è importante, svolgerlo al meglio è essenziale, ma esagerare rischia di portare alla deriva. Anche perchè non è sempre vera la massima “più fai più avrai”. Anzi, il timore sottinteso è che fare tutto il possibile serva non tanto a ottenere una promozione, ma semplicemente a conservare il proprio ruolo. 

Pericolo stress

“Superare sempre la richiesta di compiti e doveri consuma risorse mentali e causa elevati livelli di stress. A tali sforzi inoltre, assunti oltre il proprio ruolo, non corrisponde una adeguata ricompensa, – spiega Anthony Klotz, professore alla School of Management alla University College di Londra alla BBC, come riferisce Ansa -. Queste sono in fondo tra le ragioni dell’abbandono di lavori poco graditi da parte dei giovani, ma dalle ceneri del vecchio concetto di lavoro il job creep contagia i lavoratori che si assumono compiti extra per fare tutto il possibile anche lavorando da casa”.

Come si può uscire da questo impasse? 

Probabilmente non è facile tornare indietro, ma dovrebbero essere gli stessi manager delle imprese a invertire la marcia e cambiare prospettiva. Anche perchè un lavoratore fresco, con la mente libera, è sicuramente un lavoro più efficiente ed entusiasta di uno grabvato da una mole immensa di mansioni e sfiancato dallo stress. 

Il Progetto Smart & Value misura i vantaggi dello smart working

In sei mesi di smart working parziale, ovvero 2/3 giorni a settimana, oltre 300 dipendenti di 11 aziende hanno risparmiato costi, tempo e guadagnato in benessere e qualità della vita. Hanno evitato spostamenti per oltre 700mila km, pari a più di 17 giri dell’equatore, ed emissioni di CO2 pari a quelle assorbite in un anno da una foresta di 32 ettari. Ma sono tanti anche i benefici per le aziende, che hanno dipendenti più sereni, collaborativi e produttivi. È quanto ha ‘misurato’ il progetto Smart & Value, condotto in partnership tra Stantec e Dilium con Sustainability & Circular Economy Lab, in collaborazione con Università di Bologna e Manageritalia Emilia-Romagna.

L’impegno dei manager è essenziale per diffondere il lavoro agile

“Smart&Value ha dimostrato che lo smart working si può misurare – commenta Rebecca Levy Orelli, professoressa associata Dipartimento Scienze Aziendali Università di Bologna e responsabile scientifico Sustainability & Circular Economy Lab -: e misurare ci permette di conoscere e di prendere decisioni per il futuro delle aziende e della collettività”.
L’enzima alla base del successo è la gestione manageriale a supporto di una profonda trasformazione organizzativa e digitale. Essenziale è l’impegno dei manager per diffondere nel nostro Paese il lavoro agile, e quindi una moderna organizzazione del lavoro, determinando i fattori competitivi a livello economico e sociale e identificando strumenti e strategie per promuoverlo nei piani di sviluppo delle imprese.

Benefici in termini di costi, tempo, e qualità della vita

I benefici del lavoro agile impattano non solo sui singoli lavoratori e sulle aziende, ma sull’intera collettività. Benefici in termini di costi, tempo, e qualità della vita: lavorando in smart working i dipendenti hanno risparmiato i costi di carburante, pedaggi, parcheggi, alcune spese per la gestione familiare e quasi 14.000 ore di spostamenti casa-lavoro (6,7 anni). Tempo e soldi dedicati invece a famiglia, benessere, sport e formazione. Inoltre, il 37% degli intervistati è meno stressato, il 25% più concentrato e il 7% più creativo. Solo il 4% preferisce lavorare sempre in ufficio. Non mancano, i benefici per le imprese: i reparti hr delle aziende hanno rilevato un miglioramento della produttività, del lavoro per obiettivi, e delle competenze digitali delle persone.

Un fenomeno che riguarda molto da vicino la gestione manageriale del lavoro

Insomma, “lo smart working è un fenomeno che riguarda molto da vicino la gestione manageriale del lavoro – aggiunge Mario Mantovani, presidente Nazionale Manageritalia -; analizzare i modelli organizzativi che funzionano, per poi applicarli nelle aziende, porterà sicuramente benefici e vantaggi per tutti gli attori coinvolti in questi processi”. 
Con lo smart working, infatti, anche la digitalizzazione delle procedure e dei modelli organizzativi è migliorata, insieme all’uso degli spazi e alla gestione dei costi. E mantenere lo smart working (almeno parziale) anche al termine delle misure emergenziali imposte dalla pandemia, è importante anche in termini di sostenibilità ambientale. 

Telemarketing selvaggio: è operativo il nuovo Registro delle opposizioni

Da mercoledì 27 luglio è operativo lo strumento di contrasto al telemarketing selvaggio, il nuovo Registro Pubblico delle Opposizioni. L’Rpo semplifica infatti le procedure per i cittadini che intendono tutelare la propria privacy da attività promozionali invasive e indesiderate, ed estende ai numeri di telefono cellulare la possibilità di iscrizione (già prevista per il telefono fisso e l’indirizzo postale), annullando così i consensi all’utilizzo dei dati da parte degli operatori. I quali saranno obbligati a consultare periodicamente il registro, e comunque prima dell’avvio di ogni campagna pubblicitaria.

I cittadini non potranno più essere contattati dagli operatori

Le novità sono state introdotte con i decreti attuativi della riforma approvata dal Consiglio dei ministri dello scorso gennaio. Si tratta di un servizio pubblico e gratuito per tutti i cittadini che una volta iscritti negli elenchi del registro non potranno più essere contattati dall’operatore di telemarketing, a meno che quest’ultimo non abbia ottenuto specifico consenso all’utilizzo dei dati successivamente alla data di iscrizione, oppure nell’ambito di un contratto in essere o cessato da non più di trenta giorni.
Al nuovo Rpo si potranno iscrivere, oltre ai numeri di telefono fissi presenti negli elenchi pubblici e gli indirizzi postali, anche i numeri di cellulare: potenzialmente 78 milioni di utenze mobili.

Come iscriversi all’Rpo?

L’utente potrà iscrivere qualsiasi numero di telefono (fisso e mobile), e lo potrà fare gratis sul sito, via mail, raccomandata, al telefono o via fax. Le chiamate degli operatori di telemarketing saranno bloccate entro 15 giorni dalla richiesta, dal momento che tutte le aziende del settore iscritte al Roc (il Registro degli Operatori di Comunicazione), ossia tutte quelle che rispettano la legge, sono tenute a consultare il Registro delle Opposizioni ed eliminare dalla lista i numeri che hanno tolto il consenso al trattamento dei dati. Le telefonate pubblicitarie, quindi, potranno essere fatte solo ai numeri non presenti nel registro.

“Un passo avanti, ma non abbastanza per contrastare le imprese illegali”

Restano valide le iscrizioni inserite precedentemente, con la facoltà per l’utente di annullare i consensi attraverso il rinnovo dell’iscrizione.
“L’entrata in funzione del Registro delle Opposizioni è un passo avanti, ma non è abbastanza per contrastare le imprese illegali che operando fuori da ogni azione di controllo e disciplina, i veri molestatori dei cittadini – commenta Lelio Borgherese, presidente di Assocontact, l’Associazione Nazionale dei Business Process Outsourcer, come si legge su Corriere Comunicazioni.-. Per questo insieme con altre Associazioni, Confindustria e Confcommercio abbiamo aperto le consultazioni pubbliche sul Codice di Condotta, un progetto elaborato in questi mesi proprio per rafforzare il rispetto della disciplina sul trattamento dei dati personali e promuovere comportamenti virtuosi lungo tutta la filiera, anche al fine di ricostruire il rapporto di fiducia tra i cittadini, noi, i brand e le Istituzioni”.

Le ricette per cucinare a casa? Si trovano sul web

Sono tantissimi gli italiani appassionati di cucina, che si dilettano tra pentole e fornelli per portare in tavola degli autentici manicaretti. Ma, oltre alle abilità individuali, dove si possono trovare le ricette da replicare? Ci pensa Google, che sa rispondere a qualsiasi domanda. Tanto che nel 95% dei casi si ricorre almeno ad una fonte online per cercare ricette, mentre il 67% dei nostri connazionali utilizza almeno un social media per trarre ispirazione.

Come cambia la modalità di informarsi

Tra gli strumenti on line, ovviamente guida le ricerche Google: lo preferisce il 56% degli italiani. Tra i social media, emerge Youtube, scelto dal 46% degli utenti alla ricerca di ricette. Lo studio, condotto dall’Osservatorio Nestlé, suddivide le statistiche anche per fascia d’età. Si scopre così che i 18-24enni (58%) e i 25-34enni (49%) si affidano soprattutto ad Instagram, mentre i più grandi tra 35-44 anni (58%) attinge soprattutto dai siti web o dai blog di appassionati di cucina. I 45-54enni (43%) preferiscono i tutorial su Youtube mentre gli over 55 (53%) scelgono i ricettari di famiglia. Prima dell’avvento dei social network il 62% prendeva spunto principalmente dai libri di cucina e il 52% dai ricettari di famiglia. Il 46% cercava direttamente la ricetta attraverso Internet, il 35% attraverso trasmissioni televisive dedicate e il 34% si affidava alle ricette lette sui giornali.

Dalla torta di pere al gin tonic

Ma quali sono le ricette più ricercate in rete? A sorpresa, non sono le preparazioni stellate o particolarmente originali. Secondo i dati di Google Trends, le ricette più cercate su internet sono le più semplici. Al primo posto, troviamo la più amata in Italia, ovvero la pasta: in particolare, sono ricercate ricette come la pasta alla boscaiola, con i peperoni e la classica pasta e fagioli. Troviamo poi la torta di pere, i pancake, le crepes e, infine, un altro classico, la pizza. In aumento, invece, nuove tendenze come il poke ed il porridge, ma anche ricette fresche come l’insalata di riso. Infine, gli italiani non rinunciano a prepararsi qualche buon cocktail a casa: i preferiti sono il Sex on the beach ed il Gin Tonic. Insomma, gli italiani hanno trovato nel web anche il perfetto sous-chef, quello che supporta in cucina a 360 gradi senza abbandonare mai la postazione!

Nel 2021 oltre 3 miliardi di euro truffati agli italiani

Un danno economico stimato di oltre 3 miliardi di euro: è quanto hanno perso complessivamente gli italiani a seguito delle truffe negli ultimi 12 mesi. Sono 8,3 milioni di italiani hanno subito una truffa nell’ambito delle principali voci di spesa familiare. In media il valore economico è di 365 euro, ma il danno più elevato è tra i prestiti personali (1.490 euro), meno per truffe ai conti correnti (279 euro) e RC auto/moto (268 euro). Emerge dall’indagine realizzata per Facile.it dagli istituti mUp Research e Norstat, da cui risulta che il 7,1% degli intervistati ha subito una truffa legata alle utenze di luce e gas, il 6,5% nell’ambito delle carte elettroniche e il 5,2% nella telefonia mobile. L’assicurazione auto/moto, da alcuni ritenuta una delle aree più a rischio, in realtà è tra quelle dove in percentuale gli italiani sono caduti in trappola con meno frequenza (1,4%).

Gli strumenti delle frodi: email, sms, siti web e social network

Quanto agli strumenti attraverso cui vengono portate a termine le frodi, nel 45% dei casi le truffe sono passate attraverso un’email, nel 26% tramite sms (31% nel caso dei conti correnti) e nel 21,5% da siti web fasulli (29% per le carte elettroniche). Ogni settore però ha le sue specificità. Quando si parla di frodi nell’ambito delle utenze luce e gas, ad esempio, tra i canali più usati dai malfattori ci sono i finti call center (44%) e le visite porta a porta (31,3%). La nuova frontiera delle truffe passa anche dai social network, particolarmente usati nell’ambito dei prestiti personali (15,9%), e dalle app di messaggistica istantanea, attraverso cui sono è stato truffato circa il 9% degli intervistati.

Il 41,5% di chi cade in trappola sceglie di non denunciare

Purtroppo, il 41,5% di chi cade in trappola non denuncia la frode. Il dato arriva addirittura al 55,1% nella telefonia mobile e al 54,5% nei prestiti personali. Tra i 3,4 milioni che non hanno denunciato la truffa subita, il 33% non lo ha fatto perché il danno economico era basso, mentre il 27% perché certo che non avrebbe recuperato quanto perso. Per circa 800.000 individui, invece, vi è una ragione di natura psicologica. Il 15,1% si sentiva ingenuo per esserci cascato, mentre il 9% ha dichiarato di non aver denunciato la frode perché non voleva che i familiari/conoscenti lo sapessero. La scelta di non denunciare risulta ancora meno comprensibile se si considera che il 4% dei truffati, a seguito della frode subita, si è addirittura trovato nel mezzo di problemi di natura legale.

Uomini, giovani e laureati i più truffati

Vittime predilette dei truffatori sono soprattutto gli uomini (22,5% rispetto al 15,7% del campione femminile), e a dispetto di quanto si possa pensare, coloro con un titolo di studio universitario (23,3% rispetto al 17% rilevato tra i non laureati).
“Non è strano che le vittime di tali reati siano spesso persone con un titolo di studio elevato – commenta Cast Gianluca Castelnuovo, ordinario di psicologia clinica alla Cattolica di Milano e all’IRCCS Istituto Auxologico Italiano -. Quando entrano in gioco le emozioni siamo più vulnerabili e rischiamo di sopravvalutare la nostra capacità di cogliere i segnali di truffa, ben camuffati dagli specialisti mal intenzionati”.
Dal punto di vista anagrafico, invece, a cadere in trappola sono più spesso i giovani nella fascia di età 18-24 anni (31,6% vs 15% 65-74enni) mentre, a livello territoriale, i residenti nel Nord Italia (Nord Est 22,3% – Nord Ovest 21%).

Sale al 43% l’incidenza della pirateria audiovisiva

In Italia la pirateria audiovisiva è in trasformazione. Da una parte si afferma un’offerta legale sempre più ampia e competitiva, dall’altra chi pirata lo fa in modo più selettivo, concentrando l’interesse su contenuti specifici. A tracciare un quadro del fenomeno è l’indagine Ipsos, condotta per FAPAV, Federazione per la Tutela delle Industrie dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali. Nel 2021 si conferma un aumento dell’incidenza della pirateria tra la popolazione adulta (43%), ma anche un calo nel numero di contenuti audiovisivi piratati: nel 2021 si stimano circa 315 milioni di atti illeciti (-24% rispetto al 2019). I film rimangono il contenuto più visto illecitamente (29%), seguito da serie/fiction (24%) e programmi (21%). Discorso a parte per gli sport live: nel 2019 la percentuale di fruizione si attestava al 10%, nel 2021 sale al 15%.

Pirati adolescenti saliti al 51%

Nel 2021 l’incidenza dei pirati più giovani (10-14 anni) è salita al 51%, mentre risulta in calo la frequenza degli atti (-20% rispetto al 2019) con una forte preferenza di eventi di sport live, film, serie/fiction e programmi.
Tra le modalità in calo, download/P2P e streaming illegale, ma in crescita il numero di chi ha fruito almeno una volta delle IPTV illecite (dal 10% nel 2019 al 23% nel 2021), pari a 11,7 milioni di individui, anche se gli abbonati ad almeno una IPTV illecita sono 2,3 milioni. Quanto alla condivisione delle credenziali di accesso delle piattaforme legali, al 41% dei ‘pirati’ è capitato di fruire almeno una volta di contenuti audiovisivi in abbonamento attraverso l’accesso con credenziali altrui non ritenendola una forma di pirateria.

Un danno economico potenziale di 940 milioni di euro

Il danno economico potenziale per le industrie dei contenuti è pari a 940 milioni di euro. Per quanto riguarda film, serie e fiction il danno potenziale è pari a 673 milioni di euro, con quasi 72 milioni di fruizioni perse, per eventi sportivi live la stima del danno economico risulta pari a 267 milioni di euro (circa 11 milioni di fruizioni perse). Il fenomeno dell’illegalità nella fruizione di contenuti audiovisivi provoca danni in termini di fatturato (circa 1,7 miliardi di euro), di Pil (circa 716 milioni) e di entrate fiscali (circa 319 milioni). Ma la pirateria mette a rischio anche l’occupazione: si stima una perdita di posti di lavoro pari a 9400 unità.

A rischio la sicurezza degli utenti

Le conseguenze non riguardano solo il fronte economico o industriale, ma anche la sicurezza degli utenti. Numerosi sono i rischi in relazione all’accesso a piattaforme illegali, legati a violazioni dei dati personali e bancari, oltre ai pericoli di malware e virus sui device. Si registra comunque una crescita della consapevolezza dell’illegalità e dei rischi connessi anche da parte dei più giovani. Rispetto alle forme di deterrenza, il 36% dei pirati nell’ultimo anno si è trovato davanti a siti web illegali oscurati, e di questi il 43% ha scelto di ricorrere a un’alternativa lecita (pay-tv e streaming legale).

Nel 2022 e-commerce di prodotto a +10%

Nel 2022 in Italia gli acquisti online di prodotto valgono circa 34 miliardi di euro, +10% rispetto al 2021. E se la crescita in valore assoluto torna ai livelli pre-pandemia, dopo l’accelerazione dell’ultimo biennio (+8 miliardi nel 2020 e +5 nel 2021), l’online nel 2022 cresce di ‘soli’ 3 miliardi di euro.
Secondo l’Osservatorio eCommerce B2c, dopo due anni in cui l’online è riuscito a porsi come canale capace di avvicinarsi ai consumatori e superare le difficoltà legate alla pandemia, l’e-commerce B2c di prodotto continua a crescere ma a ritmo contenuto. L’incremento, seppur ridimensionato, consente però all’e-commerce di prodotto di guadagnare un altro punto percentuale di penetrazione: l’incidenza dei consumi online sui consumi totali passa infatti dal 10% nel 2021 all’11% nel 2022.

Food&Grocery,+17%, Abbigliamento +10%

Tra i settori rappresentativi del Made in Italy, il Food&Grocery continua a crescere sopra la media (+17%) e raggiunge un valore di 4,8 miliardi di euro. Il comparto è caratterizzato da un trend positivo in tutte le componenti (Food Delivery, Grocery Alimentare ed Enogastronomia), grazie soprattutto all’incremento delle iniziative online su tutto il territorio italiano, e al potenziamento di infrastruttura logistica e capacità di consegna.
Gli acquisti online di Abbigliamento raggiungono invece 5,6 miliardi di euro (+10%). Le principali iniziative del comparto da un lato stanno lavorando all’ottimizzazione dei processi in logica omnicanale e sostenibile, dall’altro stanno sperimentando nuove forme di vendita e interazione grazie a metaverso, livestream shopping, marketplace e nuovi formati di adv.

Arredamento&Home living +14%, Beauty +8%

L’Arredamento&Home living, grazie a una crescita del +14%, vale 3,9 miliardi di euro, mentre il Beauty raggiunge 1,2 miliardi (+8%). Entrambi i comparti si confermano molto attivi sul fronte dell’innovazione tecnologica (realtà aumentata), della maggiore integrazione omnicanale (con il lancio di nuovi formati di negozio integrati con l’online) e della sostenibilità ambientale.
“L’e-commerce di prodotto, dopo due anni di crescita ‘straordinaria’, si trova in una fase di evoluzione più strutturata – dichiara Valentina Pontiggia, Direttrice dell’Osservatorio -. L’attenzione dei retailer online è rivolta all’ottimizzazione dei processi, non solo in chiave omnicanale, e alla sperimentazione di soluzioni in grado di assecondare i nuovi trend di consumo”.

33,3 milioni di consumatori scelgono l’acquisto digitale

“Siamo entrati in una nuova fase dell’e-commerce, dove i canali digitali sono ormai al centro dei percorsi di acquisto di 33,3 milioni dei consumatori in Italia – afferma Roberto Liscia, Presidente di Netcomm -. Non solo perché queste persone acquistano online sempre più tipologie di prodotti e con maggior frequenza, ma anche perché i punti di contatto digitali incidono in maniera rilevante anche sugli acquisti che questi stessi consumatori effettuano nei negozi fisici. Se la pandemia ha dato impulso all’e-commerce, l’e-commerce ha dato a sua volta impulso all’acquisto multicanale, con un cliente su quattro che dichiara di aver acquistato sia off sia online da una stessa insegna”. 

Second hand, una tendenza non di seconda scelta

La second hand si conferma una prima scelta circolare e sostenibile, sostenuta dal canale online. Sono infatti quasi 23 milioni gli italiani che nel 2021 hanno deciso di comprare e vendere oggetti di ‘seconda mano’. E il 66% di chi ha comprato ha guardato alla second hand come prima scelta di acquisto. Il tutto all’insegna della sostenibilità, che rimane il primo valore di riferimento dell’economia dell’usato (54%), e del digitale. Il 69% di chi ha comprato e venduto oggetti usati lo ha fatto online, perché più veloce (49%), offre una scelta più ampia (43%) e consente di fare tutto comodamente da casa (41%). Sono alcune evidenze emerse dall’Osservatorio Second Hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it.

L’online è il canale più utilizzato per l’acquisto

Dal 2014 al 2021 cresce dal 30% al 70% il numero di chi si rivolge all’online per acquistare second hand, mentre chi vende passa dal 45% al 72%, attestando una crescita in termini assoluti e di frequenza. In particolare, nel 2021 l’online supera l’offline anche come canale più utilizzato per l’acquisto.  Nello stesso anno la second hand in Italia ha generato un valore economico di 24 miliardi di euro, pari all’1,4% del Pil nazionale. Anche in questo caso, la spinta più significativa deriva dal volume degli affari online, che costituisce quasi il 50% del totale (49%), passando da 5,4 miliardi nel 2014 a 11,8 nel 2021, per una crescita netta di 1 miliardo di euro anno su anno.

Cresce il numero di oggetti comprati e venduti 

La second hand mantiene il terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%), con picchi ancora più alti di adozione per laureati (68%), Gen Z (66%), 35-44enni (70%) e famiglie con bambini (68%). E la frequenza della compravendita di usato continua a crescere insieme al numero di oggetti comprati e venduti. Il 72% di chi ha acquistato e il 69% di chi ha venduto lo fa almeno una volta ogni 6 mesi. Inoltre, il 72% di acquirenti e il 76% di venditori dichiara di avere comprato almeno lo stesso numero di oggetti dell’anno precedente. In pratica, una volta scoperto questo mercato, e sperimentata l’immediatezza e la facilità di utilizzo, fare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone.

Un modo intelligente di risparmiare e riutilizzare senza sprechi

Il guadagno di chi ha venduto oggetti usati nell’ultimo anno è stimato in media a 1.121 euro. Quanto alle categorie e oggetti più popolari nella compravendita dell’usato torna a crescere il volume della compravendita dei Motori di seconda mano (11,5 miliardi), seguito da Casa&Persona (5,7 miliardi), ed Elettronica (4,1 miliardi). Ma perché si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono risparmio (56%), essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%), e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia che rende molti oggetti più accessibili (43%). Per chi vende, invece, la prima motivazione è liberarsi da oggetti che non si usano più (79%), seguita dal riuso e l’essere contro gli sprechi (44%), mentre per il 39% si vende usato per guadagnare.  

Discipline Stem: donne meno portate secondo il 14% degli italiani

Nonostante il 56% degli italiani non conosca il termine Stem quasi il 14% ritiene che le donne siano biologicamente e naturalmente meno portate allo studio delle discipline scientifiche. Sono “dati molto preoccupanti”, quelli che emergono dalla ricerca presentata da Alessandra Ghisleri, direttore di Euromedia Research, nel corso dell’evento Donne e materie Stem: come superare la disparità di genere, promosso da Fondazione Marisa Bellisario, Link Campus University e Università eCampus. 
“Ritenere che alla base del sottodimensionamento delle donne in queste materie ci siano ragioni biologiche ci fa capire che siamo ancora all’epoca preistorica”, ha commentato Maria Cristina Messa, ministro dell’Università e della Ricerca.

Nelle discipline scientifiche la presenza femminile è inferiore al 15%

“Ci sono alcuni segmenti, all’interno del panorama universitario italiano che vedono ancora un rilevante scarto tra uomini e donne, nella presenza e nella rappresentanza – ha evidenziato il rettore della Link Campus University, Carlo Alberto Giusti -. Nelle discipline Stem, secondo i dati del centro studi della Crui, si registra una presenza femminile inferiore al 15%, dato confermato anche nei dottorati e nei ruoli della ricerca. La Link Campus University è impegnata in azioni di contrasto a ogni forma di diseguaglianza”.

“Un gap di genere ben più alto della media dei paesi Ocse”

“Come governo, in tutti i bandi abbiamo fatto sì che almeno il 40% degli assunti siano donne, vincolando l’accesso ai fondi del PNRR solo a quegli enti, pubblici e privati, che abbiano la redazione di un bilancio di genere e una strategia di genere come uno degli elementi portanti della governance nelle loro strutture – ha aggiunto Maria Cristina Messa -. E non basterà avere un foglio di carta: saranno monitorati i dati che individuano gli obiettivi principali”.
Quanto al gap di genere, “abbiamo un gap di genere ben più alto della media dei paesi Ocse – ha sottolineato Elena Bonetti, ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia – e di certo non esiste una minore attitudine delle ragazze rispetto ai ragazzi”.

“Le donne hanno tutte le carte in regola per eccellere”

“Quasi 40 anni fa Marisa Bellisario incoraggiava le ragazze a intraprendere percorsi di studio scientifici perché, diceva, le donne hanno tutte le carte in regola per eccellere e perché là ci sono le migliori opportunità di lavoro e carriera – ha ricordato Lella Golfo, presidente della Fondazione Marisa Bellisario -. La Fondazione ha raccolto il suo testimone e fin dal 1989 premia ogni anno non solo i migliori talenti del settore, da Fabiola Gianotti a Samantha Cristoforetti, ma le più brillanti neolaureate in materie Stem. Creare role model e abbattere gli stereotipi sono le leve prioritarie per aumentare il numero di ragazze che scelgono indirizzi scientifici: un obiettivo non solo di parità ma di sostenibilità e progresso in tutto il mondo”.

Naturale, sostenibile e responsabile: il turismo italiano nel 2022

Naturale, sostenibile e responsabile: ecco le parole d’ordine del turismo in Italia nel 2022.  I nuovi trend del settore, infatti, sono tutti in questa direzione. Complice ovviamente la pandemia, che ha cambiato le abitudini di tutti, ma anche fornito nuovi spunti di riflessione. La voglia di viaggiare è cresciuta vertiginosamente, lo dimostrano diverse ricerche legate al settore, le quali evidenziano un rinnovato amore per il turismo di prossimità. Ma, nonostante la spinta reattiva, le scelte si dimostrano ponderate e rivolte a luoghi in cui la natura è più autentica. Vi è una rinnovata sensibilità verso la sostenibilità e, di conseguenza, è possibile ragionare a più livelli di impatto ambientale. Un turismo responsabile, auspicato da tempo, che tiene conto di principi di giustizia sociale ed economia, così come del rispetto dei luoghi e delle culture locali.

Dove si va?

Tra le mete preferite di quest’anno c”è Procida, eletta capitale italiana della cultura 2022. Piccola e ancora molto autentica, rispecchia le richieste dei nuovi turisti che sono alla ricerca di esperienze originali, luoghi non troppo caotici e proposte ricche di attività. Continua a mantenere il suo appeal la Puglia,  da diverso tempo in cima alla hit delle destinazioni italiane più amate, grazie ai borghi affacciati sul mare, l’ottima gastronomia e una storia di commistioni affascinante. Tra l’altro, sono davvero numerose e per tutte le esigenze le strutture ricettive dove soggiornare, spesso a pochi passi dalle sue grandi spiagge. Grazie a realtà consolidate nell’affitto turistico come Barbarhouse, è possibile, ad esempio, trovare una selezione di case, ville lussuose, ma anche trulli e pajare. Sempre tra le destinazioni del Sud, piace sempre la Sicilia, una grande isola dalle innumerevoli anime, è capace di offrire un mix unico di patrimoni naturalistici, storici, culturali e gastronomici.

La vacanza è anche virtuale

Oltre al successo di vacanze relax, sostenibili e all’insegna del benessere, con il successo crescente delle Spa, ci sono anche altri trend nel turismo. A indicarle è “The Future 100” il report dell’agenzia di comunicazione Wunderman Thompson Intelligence relativo alle ultime tendenze in tema di turismo. Tra le voci più originali vi sono senz’altro le vacanze virtuali. Si tratta di vere e proprie esperienze sensoriali da vivere direttamente a casa, restando comodamente seduti sul proprio divano. È firmata da un gruppo giapponese la piattaforma Sky Whale, in rete dal 2021, la quale consente proprio di fare acquisti e di viaggiare in mondi virtuali. Più diffuse da qualche tempo, invece, le microavventure. Si tratta di escursioni e attività specifiche programmate e della durata di 24 o 48 ore. Un modo per staccare dallo stress quotidiano e rigenerarsi in poco tempo e con poca spesa.