Categoria: Curiosità

Il Mindset coaching nel mondo vale 20 miliardi di dollari e cresce anche in Italia

Presente negli Stati Uniti già negli anni ’60, a partire dagli anni ’90 il mindset coaching si è diffuso anche in Italia. Secondo PwC a fine 2022 ha raggiunto un valore di 20 miliardi di dollari a livello mondiale, e secondo il Global Coaching Study 2023 di ICF, International Coaching Federation, nel 2022 il numero dei coach ha superato quota 100mila, il 54% in più rispetto al 2019. In Europa occidentale la crescita è del +51%.

A oggi, non sono solo le aziende ma anche le singole persone a cercare il supporto di un life coach per migliorare la qualità della vita, sia in ambito personale sia professionale.

L’era digitale richiede coach aggiornati e specializzati in settori specifici

Ma quanto costa un life coach? In Europa la tariffa media per un’ora di coaching è 277 dollari, mentre il numero di coach attivi è 30.800.
Oggi i professionisti che eccellono sono capaci di destreggiarsi tra le piattaforme web e social, distinguendosi per competenza e versatilità.

L’era digitale richiede coach non solo costantemente aggiornati, ma anche specializzati in settori specifici, come miglioramento della vita personale, professionale, l’ottimizzazione delle dinamiche interne o focalizzati su target specifici, con un focus su aspetti diversi della crescita e del benessere.
In ambito aziendale, emerge sempre più l’importanza di migliorare lo spirito di gruppo e l’engagement. E l’uso di valutazioni psicometriche per rafforzare la comunicazione e la collaborazione all’interno dei team si sta dimostrando fondamentale.

Un aiuto a bilanciare aspetti lavorativi e personali

Soprattutto nel settore sanitario si evidenzia un interesse crescente per i coach specializzati nella prevenzione o recupero da burnout di medici, infermieri e Oss, utilizzando tecniche di mindfulness.

“In un’epoca digitale che continua a ridisegnare il panorama aziendale, la specializzazione e l’approfondimento tecnologico diventano i pilastri portanti del coaching di successo – commenta Alessandro Da Col, Mindset ed Executive Coach e co-fondatore, insieme ad Alessandro Pancia, dell’Accademia Crescita Personale Meritidiesserefelice -. Favorire una cultura aziendale che sa adattarsi e reagire è fondamentale in un mondo in rapido cambiamento. Il lavoro ormai si intreccia con l’identità personale, ma è cruciale mantenere un equilibrio: il coaching aiuta a differenziare e bilanciare gli aspetti lavorativi e personali, permettendo di realizzarsi pienamente”.

“Il nostro obiettivo è potenziare l’empowerment” 

“Oltre al guadagno, le persone cercano di appartenere e fare la differenza nel loro ambiente di lavoro – aggiunge Alessandro Pancia -. Riconosciamo quindi la necessità per le aziende di evolversi, non solo con salari e benefit, ma sviluppando un ambiente che valorizzi ogni dipendente come parte di un obiettivo comune”.

In questo contesto, la coerenza aziendale, l’ascolto delle esigenze del personale e il rispetto diventano fondamentali per promuovere un’autentica comunità aziendale, riferisce Adnkronos.
“Il nostro obiettivo è potenziare l’empowerment – sottolinea Pancia -, consentendo ai dipendenti di esprimersi e crescere, e sentirsi parte di qualcosa che supera il mero aspetto economico”.

La società italiana vista dal web: i temi top e flop

Per scoprire quale siano i sentimenti profondi degli italiani, niente di meglio che una “fotografia” scattata dal web, con un’analisi approfondita delle conversazioni sulla rete e sui social. 

La ricerca è stata condotta da SocialData, spin-off di Urban Vision e SocialCom, e fornisce uno sguardo approfondito sui mutamenti in corso nella società italiana, svelando preoccupazioni, sentimenti e speranze dei cittadini. In particolare, rivela rche le conversazioni, i commenti e le condivisioni relative al calcio hanno superato gli 2,8 miliardi.

Il calcio si conferma un catalizzatore di interazioni

Il campionato di calcio emerge come il catalizzatore principale delle interazioni sociali degli utenti italiani nel 2023. I temi dominanti, che hanno generato il maggior numero di interazioni, sono dopo il calcio (2,8 miliardi), il tema reati e sicurezza (1,8 miliardi) e politica e governo (1,6 miliardi).

Questo scenario rivela la voglia degli italiani di trovare on line un argomento di svago per distrarsi dalle preoccupazioni quotidiane. A questo proposito, tra gli argomenti più dibattuti spiccano anche l’inflazione con 880 milioni di interazioni e le guerre con 197 milioni.

Meloni è il primo nome in politica 

Il premier Giorgia Meloni si conferma come il politico più discusso del 2023, con oltre 253 milioni di interazioni nei contenuti che la menzionano. Dietro di lei, Matteo Salvini con 70,5 milioni e Elly Schlein con 47,6 milioni. Altri politici come Giuseppe Conte, Matteo Renzi e Carlo Calenda mostrano comunque un significativo impatto nel dibattito pubblico.

Anche la scomparsa di Silvio Berlusconi ha suscitato un’eco emotiva importante, con oltre 672 mila conversazioni rilevate. Un tributo sei volte più grande rispetto a quello dedicato a Napolitano, evidenziando il profondo impatto che l’ex premier ha avuto nella storia italiana.

Lavoro fa rima con rabbia 

Il lavoro è uno dei temi più discussi online dagli italiani, con oltre 11 milioni di menzioni. La rabbia emerge come l’emozione predominante in oltre il 31% dei post analizzati, con focus su stipendi (129 milioni di interazioni), morti bianche (23 milioni) e disoccupazione (20 milioni).

Il climate change fa paura 

Gli utenti italiani dimostrano una sempre maggiore attenzione nei confronti dei cambiamenti climatici, con 789 milioni di interazioni. Di queste, 338 milioni riguardano il climate change e i fenomeni atmosferici estremi, mentre 54 milioni trattano la raccolta differenziata.

Elezioni europee: polarizzazione in aumento

Un focus sulle elezioni europee di giugno rivela una forte polarizzazione, con il 58% degli utenti coinvolti. Prevalgono le conversazioni orientate a destra (35%) rispetto a quelle orientate a sinistra (23%), con temi principali che riguardano economia (19%), cultura (16%), salute (10%) e immigrazione (8%).

Consumi: quali sono le abitudini green degli italiani?

Sulle scelte di acquisto degli italiani torna ad affermarsi l’importanza del fattore economico. In uno scenario caratterizzato da trend inflazionistici al rialzo che condizionano il potere d’acquisto delle famiglie, nonostante i consumatori si ritrovino spesso a scegliere prodotti più convenienti indipendentemente dalle caratteristiche green, si evidenzia un miglioramento nell’adozione di comportamenti sostenibili.

In un contesto di incertezza economica e instabilità geopolitica, emerge un lieve e diffuso calo nell’attenzione rivolta a questioni di sostenibilità da parte degli italiani, sebbene le nuove generazioni continuino a perseguire le loro abitudini green nel quotidiano.

Generazione Z la più attenta alla sostenibilità sociale e di governance

Sono alcune evidenze tratte dalla 2° edizione dell’Osservatorio ‘Agos Insights 2023. I nuovi consumi sostenibili’, realizzato da Agos in collaborazione con Eumetra.
Lo studio analizza lo scenario macroeconomico del 2023, prendendo in considerazione i principali trend che hanno influenzato le scelte di spesa delle famiglie. E secondo i risultati dell’indagine la Generazione Z è la più attenta alle tematiche legate alla sostenibilità sociale e di governance (+ 5%).

Sia in termini di abitudini di acquisto sia riguardo a consuetudini quotidiane che comportino un vantaggio di tipo economico, la sostenibilità degli italiani si esplica soprattutto con riferimento a comparti quali la mobilità (+10% rispetto al 2022), l’uso di energia da fonti rinnovabili (+9 % rispetto al 2022) e la circular economy, con l’acquisto di vestiti usati (+5% rispetto al 2022).

Mobilità: cresce la consapevolezza, ma all’auto non si rinuncia

In termini di mobilità gli intervistati dimostrano grande consapevolezza rispetto all’impatto dei mezzi a combustione sull’ambiente circostante, seppur risparmio personale in termini di tempo e denaro, mancanza di alternative valide e comodità, siano i principali driver che di fatto influenzano queste scelte.
Tanto che l’automobile privata si conferma il mezzo più utilizzato (63%), seguito dagli spostamenti a piedi (35%) e dall’uso della bicicletta (19%).

Non solo, dalla ricerca emerge anche il desiderio dei partecipanti di essere maggiormente green nelle scelte di sostenibilità, con un conseguente minor potenziale utilizzo dell’automobile (dal 63% al 32%).

Interessati all’efficienza energetica ma indecisi sulla ristrutturazione

Con riferimento al comparto edilizio, la maggioranza degli intervistati si conferma interessata all’efficientamento energetico dei propri edifici (86%), sia per i vantaggi economici derivanti dal risparmio sulle bollette per gli stabili appartenenti a classi energetiche elevate (61%) sia per convinzioni ambientali. Allo stesso tempo, gli italiani mostrano indecisione nell’affrontare le scelte di ristrutturazione per varie ragioni. Tra queste, l’impegno economico e la poca conoscenza delle normative in tema.

Solo il 7% ritiene che la messa a norma dell’edificio possa rappresentare la motivazione per cui migliorarne l’efficienza, e solo un italiano su quattro conosce la recente Direttiva Europea Case Green. 

Saldi 2024: cosa e dove acquistano gli italiani?

Secondo il sondaggio di Ipsos e Confesercenti, integrato dalla survey condotta sulle Pmi associate a Fismo (Associazione dei negozi di moda Confesercenti), per i saldi invernali di questo 2024 quattro italiani su dieci hanno già pianificato qualche acquisto, per un budget medio previsto di 267 euro, anche se il 38% prevede di spendere meno di 150 euro.

Il 56% dei consumatori però acquisterà soltanto in caso di offerte interessanti, e il cambiamento climatico complica ulteriormente la situazione per i commercianti. Le temperature eccezionalmente miti registrate tra ottobre e dicembre hanno infatti quasi dimezzato gli acquisti delle collezioni invernali.

Il 40% degli italiani ha proceduto all’acquisto entro il 7 gennaio

Il primo grande appuntamento commerciale dell’anno, uno tra i più attesi dai consumatori e dalle consumatrici, è iniziato mercoledì 3 gennaio in Valle d’Aosta e venerdì 5 gennaio nel resto d’Italia. Ma i negozi arrivano ai saldi senza avere praticamente avuto l’occasione di vendere le collezioni autunno-inverno a prezzo pieno.
In ogni caso, il 40% degli italiani dichiara di avere già individuato cosa comprare e di avere proceduto all’acquisto entro domenica 7 gennaio. 

Una polarizzazione confermata dal fatto che la maggior parte dei consumatori e delle consumatrici (56%) comprerà solo di fronte a un’offerta convincente. Una quota in crescita rispetto agli scorsi anni, segnale di maggiore attenzione da parte delle famiglie L’onda lunga dell’inflazione pesa ancora sui bilanci, e l’acquisto in saldo diventa meno impulsivo e più ragionato.

La classifica dei desideri: scarpe, biancheria, gonne e pantaloni

Le persone intenzionate ad acquistare durante i saldi cercheranno soprattutto calzature (58%), seguite da maglioni e felpe (56%).
La classifica dei desideri degli italiani per i saldi invernali 2024 prosegue con l’intimo (34%), gonne o pantaloni (33%), magliette, canottiere e top (29%), camicie e camicette (27%).
Sotto la media, invece, le indicazioni per capispalla (21%, nel 2023 27%). Il 19% cercherà una borsa, mentre il 17% un abito/completo, il 15% si orienterà invece sulla biancheria per la casa, e il 13% su foulard, cappelli e altri accessori.

Il 12% segnala invece interesse per l’acquisto di cinture e il 10% per articoli di piccola pelletteria, portafogli e portacarte.
In merito al canale di acquisto, i negozi fisici mantengono saldamente la preferenza dei consumatori. Li sceglie infatti l’83% (contro il 51% che prevede di rivolgersi all’online). Convincente è la sensazione di avere più garanzie presso un punto vendita fisico (47%).

Secondo le imprese sono iniziati troppo presto

A partecipare alle vendite di fine stagione 2024 sarà l’85,5% delle medie e piccole imprese del commercio moda. Il 92,1% ritiene però che la data di inizio, appena una manciata di giorni dopo l’inizio ‘astronomico’ dell’inverno, il 21 dicembre, sia troppo anticipata.

Una percezione fortemente acuita quest’anno, dopo un autunno e un inizio inverno dalle temperature più miti del normale. Ma un effetto collaterale del cambiamento climatico è l’incidenza sulle vendite del 96% delle imprese. Il calo medio delle vendite dei prodotti delle collezioni autunno-inverno è pari al -46%. 

Frodi creditizie: nei primi sei mesi 2023 danni per oltre 83 milioni di euro

Salgono a oltre 17.100 i casi di frode creditizia da furto d’identità nel I semestre 2023, +10,8% rispetto al medesimo periodo del 2022, e aumenta anche l’importo medio: 4.845 euro, (+3,1%).

Gli under 30 si confermano i più colpiti, le vittime sono principalmente in Lombardia, Campania e Sicilia, e la tipologia di prodotto maggiormente coinvolta continua a essere il prestito finalizzato (37,9%, +4,8%).
È quanto emerge dall’Osservatorio CRIF – Mister Credit sulle Frodi Creditizie in Italia, che stima un danno complessivo superiore a 83 milioni di euro (+14,2%).

Tipologia di finanziamento più colpite

Aumentano i casi di frode che interessano le carte di credito (+22,1%), circa il 12% del totale dei casi registrati nel periodo considerato. Si registra invece un calo considerevole per il credito revolving, oggi solo il 5,7% dei casi (-73%).
Inversione di tendenza per i prestiti personali, che registrano un notevole incremento (+61,2%), con una quota pari al 18,3% del totale dei casi stimati. Continua poi l’ascesa dei casi di frode sui mutui, che registrano un incremento del +17,7%.

Si evidenzia poi la crescita di una nuova tipologia di frode. Comparsa lo scorso anno, è relativa alla dilazione di pagamento per l’acquisto di beni o servizi. La quota di casi che riguardano questa nuova forma di credito, seppure ancora piccola rispetto al totale (2,8%), è più che triplicata rispetto al I semestre 2022.

Fasce di importo e categorie di beni

Più che raddoppiati i casi di frode creditizia con un importo tra 3.001 e 5.000 euro (+112,4%, 10% del totale), in aumento le frodi con importi tra 10.001 e 20.000 euro, e in calo i casi di importi inferiore a 3.000 euro (-22,1%).
L’acquisto di elettrodomestici resta la tipologia di frode maggiormente diffusa (34,6%, -36,1%), seguita da auto-moto (16,5%, +34%), consumi/abbigliamento/lusso (9,4%), elettronica/informatica/telefonia (8%). Seguono, le spese per immobili/ristrutturazione (7,9%), arredamento (7,8%), e salute (6%).

In forte aumento (7,7%) le frodi finanziarie/assicurative, fenomeno riconducibile all’utilizzo sempre più frequente della rateizzazione delle polizze.
Per quanto riguarda la tipologia di bene in rapporto all’erogato, le categorie a maggiore incidenza sono viaggi/intrattenimento, costumi/abbigliamento/lusso, finanziarie/assicurazioni ed elettrodomestici.

I documenti utilizzati per le frodi e i tempi di scoperta

Nello 0,08% dei casi risulta utilizzato un codice fiscale apparentemente regolare ma inesistente, quindi mai rilasciato dall’Agenzia delle Entrate: con ciò si potrebbe ipotizzare un tentativo di frode con identità inesistente.
Viene poi confermato l’utilizzo preponderante della carta di identità come documento identificativo (83,1% del totale, +1,3%). A seguire, patente (15,1%), e passaporto (1,3%).

L’1,46% dei documenti presentati in fase di identificazione anagrafica è una carta di identità contraffatta, oppure valida ma non riconducibile al soggetto, mentre per le patenti questo dato arriva al 2,93%.
I tempi di scoperta delle frodi sono poi sempre più polarizzati: entro 12 mesi (+24,8%) o dopo 3, 4, 5 anni (+33,7%). Ma l’incremento maggiore è tra 2 e 3 anni (+49,2%).

Comfort food: gli italiani eleggono pizze e focacce “cibi consolatori” d’eccellenza

Lo ha scoperto una ricerca condotta da Bva Doxa per il food delivery Just Eat:  per il 60% degli italiani sono pizza e focacce i comfort food preferiti. Ma tra i cibi consolatori spiccano anche i dolci (40%), i gelati (38%) e l’immancabile cioccolato, cibo consolatorio per eccellenza, ma citato ‘solo’ dal 32% degli intervistati.

Ma cos’è per gli italiani il comfort food? Di fatto, il concetto di cibo consolatorio per il 40% dei nostri connazionali è legato a piatti familiari, e per il 38% a quelli che possono migliorare il nostro stato d’animo.
Quanto alle emozioni più comuni che si provano dopo aver gustato il proprio cibo preferito, sono soprattutto una sensazione di gratificazione (44%) e felicità (41%).

L’80% assaggerebbe volentieri un alimento “progettato” per migliorare l’umore

L’indagine mette in risalto in particolare come l’atto di ordinare cibo a domicilio sia spesso associato a emozioni positive, come soddisfazione e relax.

In particolare, lo studio ha rilevato come oltre il 90% degli italiani affermi di ordinare un piatto basandosi su emozioni o ricordi positivi.
Inoltre, l’80% degli italiani si dice interessato a provare un alimento ‘progettato’ per migliorare l’umore.

L’ispirazione per nuove ricette arriva dai social, e il ristorante deve essere sostenibile 

Non è tutto. I risultati dello studio segnalano poi che il 70% degli italiani dichiari di aver provato almeno una volta a replicare ricette o piatti che hanno visto realizzare da influencer o personaggi famosi sui canali social, mentre il 50% ‘segue’ almeno un ristorante sui social network.

Tra i dati emerge però anche l’importanza da parte degli italiani della provenienza delle materie prime utilizzate nei ristoranti, nonché l’uso di prodotti locali e a chilometro zero (44%), e l’adozione di iniziative anti-spreco (42%).
Sono questi gli elementi chiave per definire un ristorante come sostenibile.

I giovani della Gen Z vogliono sperimentare sapori nuovi e intensi… ma familiari

Più nel dettaglio, il 65% degli intervistati si dice disposto a pagare di più per una consegna più sostenibile, specialmente tra i membri della Generazione Z. Ma in Italia la ricerca ha rilevato anche ‘un forte interesse’ per la sperimentazione di sapori nuovi e intensi (22%), ancora una volta, soprattutto tra i giovani (25-34 anni). Sperimentazione che resta però spesso associata a un forte legame con i piatti familiari (36%).

L’indagine Bva Doxa / Just Eat, riporta Ansa, è relativa alla settima edizione della Mappa del cibo a domicilio in Italia, ed è finalizzata a scoprire quali sono i nuovi driver che plasmeranno il mondo gastronomico e del food delivery. Alla ricerca ha collaborato anche Wgsn, l’istituto di ricerca sulle tendenze dei consumi.

Gestione della casa e dei figli: mamma e papà sono davvero alla pari?

In base a quanto dichiarato dai papà,  non ci sono più differenze di genere nella gestione della casa e dei figli. Ma le mamme italiane non sembrano essere d’accordo. Secondo il loro giudizio, il contributo maschile non supera il 30%.
Questa discrepanza emerge dalla nuova edizione dell’osservatorio “Parents” di Eumetra, che ha coinvolto oltre 2.100 genitori in attesa del primo figlio e con figli di età compresa tra 0 e 11 anni. 

La mamma è ancora la mamma…

I dati indicano che ancora oggi, il 70% delle mamme si occupa esclusivamente o principalmente delle faccende domestiche e dei figli, un dato addirittura in crescita rispetto al 2018, quando era al 66%.

Matteo Lucchi, amministratore delegato di Eumetra, commenta questa situazione dicendo che nonostante i padri siano sempre più desiderosi di essere coinvolti nella vita familiare, ci sono ancora differenze molto nette nella suddivisione dei compiti, in alcuni casi addirittura aumentate negli anni. Ad esempio, se nel 2018 le decisioni importanti per i figli erano prese dalla madre nel 28% dei casi, oggi questa percentuale è salita al 46%. La parità all’interno delle mura domestiche appare molto lontana, e il coinvolgimento dei padri nella gestione della casa e nella cura dei figli non sembra ancora sufficiente a alleviare il peso del “carico mentale” che grava sulle spalle delle mamme.

Divergenze fra lei e lui anche nelle scelte d’acquisto

Le divergenze tra mamme e papà si fanno sentire anche nella maggior parte delle scelte d’acquisto, ad eccezione delle vacanze e del tempo libero, dove le decisioni sono condivise nel 75% delle famiglie. Nelle altre categorie, le mamme si sentono le principali responsabili degli acquisti, come prodotti per l’allattamento/svezzamento (59%), alimentazione (55%), igiene e cura (63%), farmaci e salute (52%), puericultura leggera (ciucci e biberon, 60%), materiale scolastico (56%) e abbigliamento (55%).

Lucchi aggiunge che anche in questo caso, i padri dichiarano di condividere le scelte, ma il desiderio di protagonismo nella vita quotidiana dei figli non sempre si traduce in realtà. La condivisione delle scelte di acquisto è più equa per passeggini e seggiolini, giochi e giocattoli, prodotti tecnologici e finanziari.

Preoccupazione per il futuro? Sì, senza grandi differenze

La preoccupazione per il futuro è elevata, con l’82% delle famiglie che si dichiara molto o abbastanza preoccupata, soprattutto in relazione alla situazione economica. Le mamme mostrano una maggiore preoccupazione rispetto ai padri, anche se in miglioramento rispetto al 90% registrato un anno fa. I timori principali riguardano l’incremento dei prezzi e il cambiamento climatico.
I genitori con figli di età compresa tra 7 e 11 anni sono i più preoccupati per l’aumento dei prezzi, mentre cresce anche il timore di perdere il proprio posto di lavoro, con un aumento di 7-8 punti percentuali rispetto al 2022, sia tra le mamme sia tra i padri.

Italiani “stufi” del loro lavoro. E senza piano B

Italiani e mondo del lavoro sono più che mai distanti.  Secondo un recente studio condotto dall’Unicusano, nell’ultimo anno nove italiani su dieci hanno manifestato una profonda insoddisfazione per il loro lavoro, e il 43% di loro ha scelto di abbandonarlo. Sorprendentemente, il 97% di chi ha fatto questa scelta non aveva un “piano B” in mente. Le donne e i giovani sotto i 27 anni sono stati particolarmente colpiti da questa tendenza, con il 77% di loro che ha deciso di rinunciare a un contratto di lavoro e a una carriera professionale in cambio di maggiore libertà personale.

Cala anche il benessere psicologico 

Un altro dato preoccupante emerso dallo studio dell’Unicusano riguarda il benessere psicologico dei lavoratori. Solo l’11% dei 25 milioni di occupati registrati dall’Istat nel 2022 è riuscito a raggiungere un equilibrio ideale tra lavoro e salute mentale. Questo equivale a meno di tre milioni di persone.
Il principale fattore che ha influenzato negativamente i lavoratori, costringendoli ad assentarsi ripetutamente, è stato il burnout, uno stato di esaurimento fisico, mentale ed emotivo causato da vari fattori legati al lavoro. Questo malessere ha colpito quasi il 50% degli italiani.

Il fenomeno delle Grandi Dimissioni arriva in Italia…

Il fenomeno noto come “Great Resignation,” già osservato in America dopo la fine della pandemia, ha fatto il suo ingresso anche in Italia. L’Unicusano ha identificato diverse motivazioni alla base di questa scelta, dall’insoddisfazione personale alla ricerca di migliori condizioni economiche, dalla necessità di maggiore flessibilità nell’orario di lavoro alla rottura dei rapporti con i colleghi. Gli italiani cercano un nuovo equilibrio tra vita privata e professionale, che attualmente è sbilanciato verso quest’ultima a causa di una società iper-competitiva, veloce e digitalizzata.Altri fenomeni preoccupanti emersi nello studio dell’Unicusano includono il “quiet quitting,” in cui oltre due milioni di lavoratori svolgono solo il minimo indispensabile senza sentirsi valorizzati, e il “job creeper,” che colpisce il 6% delle persone che fondono completamente la sfera lavorativa e quella privata.

…E anche il Nomadismo Digitale

Ad alimentare il fenomeno delle “Grandi Dimissioni” sono soprattutto i giovani tra i 24 e i 35 anni, noti come “flow generation.” Questi giovani hanno un futuro incerto, lavorano in professioni non tradizionali e hanno un’identità in continua evoluzione. Hanno trovato nel nomadismo digitale la loro forma di espressione più pura, e oggi rappresentano 35 milioni di persone in tutto il mondo, con un valore economico di 787 miliardi di dollari. La pandemia ha tolto tempo, ma ha anche regalato tempo. I nuovi nomadi digitali sanno come valorizzare questo tempo, rivendicando spazio per la loro vita, passioni, talenti e aspirazioni. Lavorano da remoto, da qualsiasi parte del mondo, e lo fanno con soddisfazione nell’85% dei casi. Sono la risposta a una precarietà auto-imposta, e le aziende devono riconoscere questa sfida per consentire a tutti di crescere, mettendo al centro le persone.

Miti e realtà della GenZ: è davvero così diversa dalle precedenti?

La GenZ è veramente così diversa dalle precedenti? Se i nati a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio vengono descritti come più attenti a sostenibilità ambientale, inclusione e diversità, i dati Ipsos sfatano alcuni miti relativi ai cosiddetti nativi digitali. Ad esempio, se solitamente la GenZ viene narrata come ossessionata dal comportamento etico di marca, pronta a boicottare un’azienda che non rispetta i requisiti di sostenibilità ambientale e sociale, dal punto di vista delle scelte di consumo è la prima consumatrice di ‘fast fashion’, nota per il grave impatto ambientale.
Insomma, la GenZ è un agglomerato eterogeneo, in cui le tracce utopiche si accompagnano alla voglia di protagonismo e individualismo.

Non così green, ma aperti e inclusivi

Secondo lo studio Ipsos Global Trends in Italia i giovanissimi preoccupati per un imminente disastro ambientale sono il 75%, percentuale inferiore rispetto alla media nazionale. Inoltre, non prestano particolare attenzione allo spreco d’acqua, al consumo di energia o di carne. E neanche alla raccolta differenziata.  Ma dal punto di vista valoriale i ragazzi della GenZ  mostrano un approccio sicuramente più globale, aperto e inclusivo. Presentano una maggiore apertura verso i diritti civili, dichiarando un forte sostegno al matrimonio tra persone dello stesso sesso e all’adozione per le coppie omogenitoriali.
Sono anche più inclini a esplorare e adottare una visione più aperta della sessualità e del genere. Infatti, secondo l’indagine globale Ipsos LGBT+ Pride 2023, rispetto ad altre fasce di età sono più propensi a dichiararsi LGBT+ (+18% vs 9%), in particolare, bisessuali o gender-fluid.

Tecnologici e multimediali

Ma una cosa è certa: la GenZ è la prima a essere cresciuta completamente immersa nelle tecnologie digitali. Si tiene al passo con ciò che accade nel mondo soprattutto tramite passaparola, messaggistica, e social. Tuttavia, non rifiuta categoricamente l’informazione, ma sembra maggiormente interessata alle cosiddette ‘soft news’ (intrattenimento, celebrity, formazione, cultura, arte). In generale la dieta mediatica dei GenZ è varia e multimediale, usano mediamente 5-6 mezzi/piattaforme, e secondo il centro di Audience e Media Measurement di Ipsos, i contenuti più graditi sui social sono quelli amatoriali creati da amici (42%) o creator (37%). Non importa che siano prodotti professionalmente, ma che siano autentici e dall’elevato valore di intrattenimento.

La famiglia è più importante del lavoro

Secondo l’indagine elaborata dall’Area Studi Legacoop e Ipsos, la GenZ si distingue poi per un approccio al mondo del lavoro definito da motivazioni valoriali e valutazioni pragmatiche. Nella scala dei valori considerati più importanti, il lavoro è al sesto posto, preceduto da famiglia, amicizia, amore, ma anche divertimento e cultura. Se il trattamento economico è al primo posto (44% GenZ vs 43% campione totale), per la GenZ al secondo posto vengono disponibilità di tempo libero e flessibilità dell’orario, seguita dall’autonomia. Solo al quarto stabilità del lavoro (25% GenZ vs 42%). In sostanza, i giovanissimi cercano un equilibrio tra lavoro e vita privata, e sono inclini a cercare opzioni di lavoro flessibili per adattarsi alle loro esigenze e priorità personali.

Gli italiani e le tasse: oltre i luoghi comuni

Un italiano su 4 (24%) non ha la minima idea di quanto annualmente versa in tasse. Un’inconsapevolezza più accentuata tra i giovani (36% tra i 18-24enni), i disoccupati e coloro che hanno un titolo di studio basso, di cui circa il 40% non sa quante tasse paga. Lo ha scoperto un’indagine svolta da Eumetra, che rileva anche come solo un italiano su 5 sa con precisione quante tasse paga, in particolare i laureati, mentre la maggioranza (54%) dichiara di saperlo in modo approssimativo. Nonostante l’inconsapevolezza circa il proprio contributo fiscale, permane comunque il sentiment negativo in relazione al pagamento delle tasse, spesso riportato anche dai media.

Alcuni miti da sfatare

Il 75% degli italiani ritiene infatti che l’ammontare delle tasse versate sia troppo elevato in relazione ai servizi erogati da Stato ed enti locali. L’insoddisfazione diminuisce però tra chi sa esattamente quanto paga, e il 19% ritiene che la pressione fiscale nel nostro Paese sia equa, in particolare, tra le persone con titolo di studio elevato e che conoscono l’ammontare delle tasse versate. Nel complesso, persistono svariati luoghi comuni che rappresentano però il punto di vista di chi appartiene ai contesti socio-economici legati a un livello di istruzione più basso. Luoghi comuni smentiti presso le fasce di popolazione più consapevoli e istruite, che manifestano una posizione meno critica verso lo Stato e di maggiore apertura verso gli altri.

Italiani divisi

Oltre al luogo comune ampiamente diffuso relativo all’ammontare troppo elevato delle tasse versate, su molte altre affermazioni le risposte non sono così scontate. Ad esempio, relativamente alla giustificazione del mancato pagamento delle tasse in relazione all’incapacità dello Stato di spendere correttamente i soldi incassati gli italiani sono divisi. Il 48% si dichiara molto/abbastanza d’accordo con questa argomentazione (62%, tra chi ha un titolo di studio basso), la restante metà non è di questo avviso. Su questa tematica sembra prevalere un certo disinteresse da parte dei cittadini.
Un altro esempio: se è vero che per 2 intervistati su 3 alcuni non pagano le tasse perché i controlli sono poco frequenti, 1 su 3 non è d’accordo.

Solidarietà civile, questa sconosciuta

Dallo studio emerge inoltre un sentimento di scarsa solidarietà civile: solo metà degli intervistati, infatti, afferma che è giusto pagare le tasse perché così si aiutano i più deboli, aderendo quindi al concetto della ‘redistribuzione’. Questo atteggiamento centrato su di sé e meno sugli altri è più concentrato tra i segmenti meno istruiti. Al contrario, l’adesione al principio della redistribuzione è più elevata tra coloro che hanno maggiore consapevolezza di quanto pagano di tasse.
Nei piccoli centri, specialmente nel meridione, gli intervistati sono poi relativamente più d’accordo nel giustificare l’evasione fiscale. Ma a fronte di una maggioranza che aderisce ai luoghi comuni sulle tasse, e spesso li utilizza come giustificazione per evaderle, una quota significativa, circa il 20%, si ritiene relativamente soddisfatto.